6 detectives buongustai per 6 piatti

Si scopre l’acqua calda, dicendo che il romanzo giallo va a braccetto con la cucina da sempre. Ma siamo ormai abituati ai detectives dei film e delle serie televisive americane; il nostro immaginario ha in sé un modello dell’investigatore che si è sovrapposto a quello letterario fino ad oscurarlo.

Lo vediamo così, il detective: dedito solo alle bevute compulsive di superalcolici, se è un detective privato; ingoiante in fretta cibo-spazzatura bisunto in auto, durante interminabili appostamenti, se è un poliziotto.
Nella letteratura noir, invece, la storia è altra. Cinema e TV vi hanno attinto senza risparmio, ma hanno poi deviato verso altre direzioni, dimenticando il cibo da gourmet, il gusto per la cucina, la raffinatezza del palato.
Proviamo a ricordarcene attraverso alcuni grandi personaggi del passato e del presente e qualche piatto-simbolo.

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Si pensa a Nero Wolfe, creato da Rex Stout, e non appaiono alla mente inseguimenti, cadaveri, pistole. Ma una grande casa lussuosa e silenziosa, un raffinatissimo cuoco, una serra piena di orchidee curate in maniera maniacale. Magari il cuoco, Fritz Brenner, ha la faccia di Pupo De Luca, che lo interpretava nella serie televisiva dei primi anni ’70, con il grande Tino Buazzelli nel ruolo di Wolfe e Paolo Ferrari in quello del fido Archie Goodwin (di una serie televisiva più recente è meglio non parlare. E’ quella il vero delitto, più di qualunque caso in cui si sia imbattuto il nostro Wolfe). Amante di una cucina sofisticata e ricca, Wolfe non lascia la propria casa se non rarissimamente, e lo fa, ad esempio, per partecipare al convegno dei Quinze Maîtres, i quindici migliori cuochi del mondo, in qualità di ospite d’onore. A farlo lo spinge anche il desiderio divorante di ottenere dallo chef Jerome Berin una ricetta.
E’ quella ricetta il piatto-simbolo che scegliamo per lui: le salsicce “mezzanotte”. Pubblicata dallo stesso Rex Stout ne “Le ricette di Nero Wolfe”, apparso in Italia nella collana Omnibus della Mondadori nel 1975, all’interno del volume “Nero Wolfe, Archie Goodwin & Company”, oggi la si trova on line, qualora vogliate cimentarvi in un piattino leggero leggero con pancetta, fagiano, arrosto d’oca, grasso d’oca, cioccolato, pistacchi.

In una settantina di romanzi Simenon ha fatto del commissario Maigret un ritratto umano e rassicurante. Maigret, un borghese amante della vita tranquilla, predilige la cucina tradizionale francese, ma ben fatta e curata, quella di sua moglie, l’ineffabile signora Maigret, e dei classici bistrot parigini. Un buongustaio all’antica, Jules Amédée François Maigret, che tra una birra, un sigaro e un uovo sodo attende i profumi della cena preparata con grande perizia dalla sua Louise.
Ai suoi piatti preferiti sono dedicati i volumi “A tavola con Maigret, Intrighi e intingoli”, di Guido Guidi Guerrera, edizioni Il Leone Verde, e “A cena con Simenon e il commissario Maigret”, di Robert J. Courtine, Guido Tommasi Editore.
Sono tanti, quei piatti, ma un posto speciale lo ha sicuramente il coq au vin, citato espressamente nel romanzo “Una confidenza di Maigret”, in cui la signora Maigret, dopo averlo servito, svela il suo tocco personale, il suo ingrediente segreto alla signora Pardon: “Ha un gusto delicato, appena percettibile, che è la cosa più buona e non arrivo però ad identificare.” dice la signora Pardon, ipotizzando poi che il coq contenga del cognac o dell’Armagnac. “Eh! Be’, nonostante non sia ortodosso ci metto della prunella d’Alsazia… Ecco il segreto…”.
Una delle molte ricette di coq au vin la trovate qui.

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Tutti ricordano la serie della RAI dedicata negli anni ’60 a Maigret, con Gino Cervi protagonista. il produttore di quella serie era un uomo che di gialli e cibo se ne intende: Andrea Camilleri, il padre del commissario Montalbano.
Montalbano fa venire in mente la cucina siciliana ancor prima di aver finito di pronunciarne il nome. Il sornione poliziotto di Vigata non si nega quasi mai un buon pasto, che sia nella sua trattoria preferita o nella sua casa di Marinella, dove a preparargli deliziosi manicaretti è la fedele Adelina, che gli lascia le gradite sorprese nel frigo o nel forno. Pasta ‘ncasciata, caponatina, triglie: un trionfo di sicilianità che si alterna ai semplici ma saporitissimi piatti di pesce fresco che Montalbano consuma nella trattoria di Enzo, spesso esagerando nelle quantità per poi alleggerirsi con una passeggiata in riva al mare.
Ma il piatto-simbolo, quello che ha dato anche il titolo a un racconto e alla raccolta che lo contiene, è senz’altro l’arancino. Gli arancini di Adelina, s’intende.

Gesù, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta : un ricordo che sicuramente gli era trasuto nel Dna, nel patrimonio genetico.

Adelina ci metteva due jornate sane a pripararli. ne sapeva a memoria la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve cociri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zafferano, pi carità!), lo si versa sopra una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddare. Intanto si cocino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signuruzzu, si mangiano!
(Da “Gli arancini di Montalbano”, di Andrea Camilleri, Mondadori).

Ne “Il cane di terracotta”, Montalbano fa questa rapida riflessione: “Pensò che in fatto di gusti egli era più vicino a Maigret che a Pepe Carvalho, il protagonista dei romanzi di Montalban, che si abbuffava di piatti che avrebbero dato foco alla panza di uno squalo.
Il legame tra il commissario nostrano e Carvalho è palese: nel dare il nome al suo figlio letterario, Camilleri si è ispirato proprio al padre dell’investigatore spagnolo, Manuel Vasquez Montalban. Ma Carvalho è un personaggio al limite, dedito a molti vizi e a curiose abitudini, irregolare, con un passato movimentato e inquietante, privo di scrupoli. E di una golosità senza regole.
Non si pone confini, nella propria esplorazione del gusto: ama ogni genere di cucina, non è snob come Wolfe né rustico come Montalbano. Per lui il cibo è il succo della vita.
«Peperoni ripieni ai frutti di mare. Spalla di agnello pure ripiena e latte fritto. Che le pare?» «Non mi attrae. Mangio per vivere» «Lo temevo. Lei doveva pur avere qualche difetto.» (Da “Il centravanti è stato assassinato verso sera”, di Manuel Vazquez Montalban, Feltrinelli).
Trattandosi di un autentico crapulone, risulta difficile scegliere un solo piatto simbolico. Optiamo per la fideuà che Carvalho in persona prepara ne “Gli uccelli di Bangkok”. Un piatto catalano simile alla paella, ma preparato con una pasta lunga e sottile, i fidelini. Qui la ricetta, ma ecco come ne racconta la preparazione Carvalho, che include nel piatto anche carne:

Prima di tutto bisogna soffriggere bene le carni e nell’olio fare un soffritto denso, disidrattato, secondo i canoni perfettamente spiegati da Josep Pla, un grande scrittore catalano che suppongo sia stato tradotto in tailandese: Una volta pronto il soffritto vegetale di cipolla, pomodoro e peperone, si aggiungono le carni di maiale, pollo e calamari e si tengono da parte i gamberi per buttarli all’ultimo momento. In questo umido si devono stufare i tagliolini normali, però, per riguardo alla fragilità di questi tagliolini di riso che lei mi ha procurato, li terrò a parte per l’ultimo momento e verserò il brodo sul soffritto fino a rompere il bollore e avanti così perché si mescolino i sapori. Poi i fidelini e i gamberi spellati e, due o tre minuti prima di toglierlo dal fuoco, un trito di aglio con olio e poi si lascia riposare lo zuppone e vediamo cosa viene fuori.

Maurizio Gelatti in “Il delitto è servito. I menù di Agatha Christie” (Torino, Il leone verde, 2005), approfondisce il rapporto tra i romanzi della Christie e la gastronomia. Il celeberrimo Hercule Poirot non si diletta di cucina come Carvalho e non è perdutamente innamorato del cibo come Wolfe o Montalbano, ma si lascia andare al piacere della tavola con godimento, prova ne sia che in “Fermate il boia” dichiara il suo rammarico per non potersi sedere a tavola più di tre volte al giorno. Essendo un belga che vive in Gran Bretagna, i suoi incontri col cibo spaziano da una sponda all’altra della Manica. Ma è soprattutto un goloso di dolci e di cioccolato.
Il soufflé al cioccolato, ad esempio. Contenuto nel volume “Creme & Crimini. Le ricette deliziose e criminali di Agatha Christie”, di Anne Martinetti e Francois Rivière, potete trovarlo qui.

Mediterraneo come Montalbano, sposato a una brava cuoca come Maigret: è il Kostas Charitos di Petros Markaris. Commissario di polizia all’ombra del Partenone, uomo vecchio stampo in conflitto costante e non troppo sottile con il mondo contemporaneo, mal pagato come ogni poliziotto, ironico e gran lettore di vocabolari, Kostas ha un rapporto difficile con la moglie Adriana, che è una cuoca di prim’ordine. Di piatti greci. E della tradizione.
Il piatto preferito del commissario? I ghemistà, le verdure ripiene di riso onnipresenti in Grecia: un pomodoro e un peperone a persona, tanto olio d’oliva, patate a spicchi, menta. Da mangiare rigorosamente tiepide o fredde, come piacciono a Kostas.

Uno statunitense di origine montenegrina, un francese, un italiano, uno spagnolo, un belga, un greco: in questa piccola rassegna sono del tutto assenti i protagonisti del giallo scandinavo che tanto successo ha in questi anni. Non ci si incontrano cuochi né casalinghe con talento culinario, i detectives non si dilettano ai fornelli e sembrano del tutto indifferenti al cibo. Il più famoso, Wallander, creatura di Henning Mankell, si nutre di cibo da fast food e di caffè. Una tendenza moderna o il riflesso di una gastronomia, quella scandinava, non particolarmente ricca?

Piccola bibliografia:
A. Martinetti, F. Rivière – Creme e crimini – Sonzogno
M. Gelatti – Il delitto è servito – Il leone verde
G.G. Guerrera – A tavola con Maigret. Intrighi e intingoli – Il leone verde
M. Clavé – Manuale pratico di cucina noir e criminale – Guido Tommasi
R. J. Courtine – A cena con Simenon e il commissario Maigret – Guido Tommasi
L. Grandi, S. Tettamanti – Silabario goloso – Mondadori (più generale sui rapporti tra cibo e letteratura)
E. Tumminello – Le ricette di Nero Wolfe – Il leone verde
M. V. Montalban – Le ricette di Pepe Carvalho – Feltrinelli
S. Campo – I segreti della tavola di Montalbano – Il leone verde

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Giovanna Esposito

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