Bamya, la verdura dai 100 nomi

La bamya è il frutto di una pianta chiamata scientificamente Abelmoschus esculenta e, nei diversi paesi dove cresce, bamya, gombo, okra, quiabo, quimbombo, ladyfinger, bhindi, bhendi, bendai, bhinda, dherosh, vendai kai, qiu kui ed altro. A vederla sembra un peperoncino, è lunga dai tre ai sei centimetri a seconda della varietà, pelosetta al tocco e di un colore che varia dal giallo-beige al nero passando per il verde cupo. La bamya cresce nelle zone calde o molto temperate del pianeta, dall’Africa tropicale, di cui sembra sia originaria, al Maghreb, a tutto il Medio Oriente, alla Turchia, l’Iran, la Grecia, i Balcani, tutta l’area indiana, i Caraibi e il Brasile dove la portarono gli schiavi africani, e il sud degli Stati Uniti. Si coltiva anche in Asia del Sud-Est, come in Cina e in Giappone. È una pianta della famiglia dell’ibisco, alta fino a due/tre metri, con un bel fiore giallo chiaro.

La bamya contiene in abbondanza una mucillagine trasparente molto viscosa che viene rilasciata in cottura, specialmente se si taglia la capsula che fa da base al picciolo. La capsula, quindi, non andrebbe tagliata, e comunque, quando si tratta di lessarla, la bamya va lavata sotto l’acqua a cottura ultimata per eliminare gran parte di quella sostanza non gradita a tutti. In realtà, e per lo stesso motivo, va usata già lessata e lavata per la maggior parte delle preparazioni che la contengono.

In Italia si coltiva essenzialmente in Sicilia, da pochi anni, per il maggior consumo delle comunità straniere che ne fanno un uso frequente, in particolare albanesi, greci, maghrebini, mediorientali e africani. È comunque difficile da reperire fresca, anche se comincia ad apparire in alcuni mercati popolari, in particolare al sud. Invece si trova in conserva e surgelata in quasi tutti i negozi etnici d’Italia, in particolare quelli gestiti da persone provenienti dal Medio Oriente o dal Maghreb.

Nei paesi dove cresce si usa spesso seccarla al sole e venderla a grappoli. La qualità migliore è quella piccola e non troppo scura e, se la comprate in conserva, generalmente lessata e venduta in barattoli nella sua acqua di cottura viscosa, vi consiglio di scegliere quella che proviene dall’Egitto o dalla Turchia e di lavarla bene sotto l’acqua corrente per almeno 5 minuti. Siccome è una verdura delicata, conviene aggiungerla alle preparazioni a fine cottura e lasciarla insaporire per una decina di minuti, per evitare che risulti disfatta. Il sapore della bamya è difficile da definire. C’è chi lo accosta a quello del carciofo, del fagiolino o dell’asparago, ma in realtà non ricorda nessuno di questi; per capirlo bisogno avere assaggiato. È comunque un sapore abbastanza delicato ma molto particolare, e chi lo ama lo ama profondamente, come il sottoscritto.

La bamya si consuma generalmente cotta, ma in alcuni paesi si usa anche cruda in insalata, e in Medio Oriente la riducono spesso in una polvere che poi usano per ispessire ed insaporire salse e stufati.
Ha una consistenza e un sapore che non piacciono a tutti, ma è questione di abitudine. All’inizio può non suscitare entusiasmo, ma riprovandola è raro che non la si apprezzi per quel che è: una verdura deliziosa!

La ricetta che segue è una delle più semplici, fa parte della cucina ebraica greco-ottomana.

bamya

Pollo alla cannella con bamyas


Per 6 persone

600g di petto di pollo a dadi (o sovracoscia disossata)
600g di bamya in conserva scolate e lavate bene
1 carota grossa
1 costa di sedano
1 ciuffo di prezzemolo
1 cipolla dorata
2 spicchi d’aglio
300 g di polpa di pomodoro
Succo di ½ limone
Olio extravergine d’oliva

Fare un battuto con tutte le verdure e farlo appassire in olio in tegame.
Aggiungere il pollo e farlo insaporire nelle verdure per 5 minuti, girando.
Aggiungere la cannella e girare bene, quindi il pomodoro, mescolando.
Unire un pizzico di zucchero, il succo di limone, sale e pepe, e lasciare cuocere coperto fino a quando il tutto non è ben cotto e amalgamato. Aggiungere le bamya e lasciarle insaporire nella preparazione per altri 10 minuti.
Servire con riso pilaf semplice o pilaf di bulghur.

            

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Jean Michel Carasso

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