Come gli italiani “crearono” le acciughe del Cantabrico

Acciughe del Cantabrico. Basta la parola (le tre parole, a dire il vero) per far pensare a una prelibatezza assai costosa che ci si può concedere solo con parsimonia e che gli italiani, grandi consumatori di alici in conserva, amano di un amore appassionato e sono disposti, nelle occasioni speciali, a pagare a caro prezzo.
Eppure, se si ha la ventura di trovarsi a passare per Santoña, vera capitale della lavorazione delle acciughe su quella costa della Cantabria che tante bellezze ha da offrire, si ricevono delle vere sorprese.
Come questa.

IMG_5685
Paseo de los salazoneros italianos. Una targa commemorativa con cui il governo della Cantabria ha voluto omaggiare, nel 2011, i “salatori” italiani. Leggi la motivazione e immediata nasce la curiosità di saperne di più: cosa abbiamo a che fare noi italici con le acciughe del Cantabrico che tanto ci costano?

IMG_5683
Ebbene, la storia risale al secolo XIX. È agli inizi di quel secolo che nasce la tecnica di conservazione degli alimenti nota come appertizzazione, ideata dal francese Nicolas Appert e presto largamente adottata, e nasce, di conseguenza, l’industria conserviera.
Anche in Cantabria, dove l’abbondanza di pesce – e l’abbandono della pesca d’oltremare, soprattutto di merluzzo e balena, in favore di quella costiera, prevalentemente di bonito, besugo e sarda – induce a usare tutti i metodi disponibili (essiccazione, salagione, affumicatura) per preservare il pescato in eccesso e commercializzarlo, in primo luogo a Santoña, che non è un porto peschereccio importante, a quell’epoca, dato che non ha grossi centri urbani così vicini da potervi far arrivare il prodotto fresco in tempi rapidi. Parliamo dei primi dell’Ottocento, di un tempo di trasporti lenti e complicati.
Conservare le acciughe? Non se ne parla nemmeno. Le acciughe abbondano, ma nessuno le vuole. Non sono attraenti per il mercato, si usano come esca per specie più pregiate, si gettano via o semplicemente si ributtano in mare.

Dopo la pesca, nel porto di Santoña

Dopo la pesca, nel porto di Santoña

In Italia, invece, le acciughe sono talmente popolari che il pescato risulta insufficiente. Là la tradizione della conservazione delle alici è antichissima. Vengono salate, messe nei barili di legno, esportate e soprattutto molto, molto consumate sul territorio nazionale. Napoli, Genova, Livorno, Torino sono le sedi delle principali aziende di trasformazione che utilizzano il pescato dei porti meridionali, in primo luogo siciliani. Il pesce non basta a soddisfare le necessità nazionali. Così, chissà come, chissà quando, qualcuno dice attraverso rappresentanti diplomatici in terra spagnola, gli italiani vengono a conoscenza dell’abbondanza di acciughe sulle coste cantabriche, acciughe indesiderate, non valorizzate e nemmeno pescate se non per sbaglio.
Detto fatto, le aziende conserviere cominciano ad inviare propri delegati a Santoña. Arrivano per prendere accordi commerciali, ma non basta: bisogna convincere i pescatori a dedicarsi anche alle alici, insegnar loro le tecniche di pesca, organizzare l’attività, e poi mostrare come si tratta il prodotto, come va salato, conservato, messo nei barili e infine imbarcato sulle navi dirette verso l’Italia. Perciò ci vogliono anche esperti salatori e persino bottai, uomini che addestrino il personale e, oltre a reclutare i pescatori, assumano le loro mogli per lavorare il pesce,
Pian piano, i primi pionieristici “cacciatori” di acciughe diventano un piccolo plotone composto soprattutto da siciliani, napoletani, genovesi, che arriva a Santoña per periodi determinati per poi ripartire, ma più tardi no, decide di stabilirsi là, ché in fondo è là che si lavora, e magari là si trova moglie, e poi, chissà, ci si mette in proprio, si creano nuove aziende, si comincia una vita nuova.
Uno di quegli uomini, tra i primissimi, si chiama Giovanni Vella Scatagliota. È trapanese, giunge a Santoña nel 1883 per conto della ditta Angelo Parodi. Ma conosce Dolores Inestrillas Ruiz, decide di sposarla e si ferma per sempre. Nel 1908 fonda la propria azienda che chiama, romanticamente, La Dolores, e più tardi diventa anche armatore. E intanto cerca un modo per migliorare le tecniche di produzione.

Foto: https://lasindias.com

Foto: https://lasindias.com

Perché quei barili di legno che vengono imbarcati sulle navi per l’Italia non sono il massimo, perdono sale e succhi, talvolta si rompono, e poi le acciughe salate sono scomode da consumare:  bisogna dissalarle, pulirle, diliscarle. Non sarebbe più comodo ottenere il bocarte (così si chiamano le anchoas, le acciughe, da quelle parti) pronto al consumo?
È un innovatore, Giovanni, e un uomo intelligente. Ci mette un po’, ma alla fine il nuovo prodotto è pronto ad essere lanciato: acciughe in filetti e conservate sott’olio. All’inizio aveva provato a conservarle con il burro, giacché in Italia piace consumarle così, ma i risultati erano stati scadenti. Eccolo, il bocarte del futuro, quello che farà la fortuna della Cantabria, ed eccolo inscatolato nella piccola lattina quadrangolare, l’octavillo, che ai giorni nostri è la confezione più diffusa e che è sempre lui, Giovanni, ad utilizzare per primo.

Giovanni Vella Scatagliota fa la storia della produzione delle acciughe in Cantabria. E, dopo di lui, la fanno i Cusimano e i Sanfilippo, gli Oliveri e i Cefalù, i Brambilla e i Maccione, italiani che arrivano come delegati di aziende e salazoneros e mettono radici, e insegnano, e fondano aziende e fanno dell’acciuga il fondamento di un’economia che così risorge. E si integrano, e diventano pilastri della comunità. Vengono da Sciacca, Terrasini, Trapani, in frotte. Negli anni’ 20 del ‘900 a Santoña ci sono circa cento famiglie italiane e trenta imprese.

«Cantabria Santoña fabrica anchoas Napoli lou». Publicado bajo la licencia CC BY-SA 3.0 vía Wikimedia Commons -

«Cantabria Santoña fabrica anchoas Napoli lou». Publicado bajo la licencia CC BY-SA 3.0 vía Wikimedia Commons –

Oggi, grazie al loro contributo, la produzione delle anchoas in conserva dà lavoro a circa 1000 persone nel piccolo centro di Santoña e 2000 nel resto della regione.
Hanno preso un pesce insignificante e tenuto in spregio e gli hanno dato dignità gastronomica e valore economico. Hanno dato lavoro soprattutto alle donne e un futuro a un piccolo porto di secondaria importanza.
Ricordarli, come hanno sottolineato le autorità locali nell’omaggiare la memoria di quei primi salazoneros italiani, è un “dovere di giustizia”.

               

L'autore Vedi tutti gli articoli Sito web dell'autore

Giovanna Esposito

4 Commenti Aggiungi un commento

  • la metafora delle acciughe dovrebbe far molto riflettere sull’Italia che esporta sempre il proprio saper fare e alla fine riceve poco in cambio. Almeno nel caso delle acciughe ci hanno dedicato una targa e alcune case conservire mantengono ancora nomi italiani.

  • santona ci sono stato per vedere metodo di pesca e salagione, cittadina tranquilla ricca di pescherie io che pesco e conosco il pesce e’ stato una manna tutti i giorni pesce a un terzo di nostri
    prezzi avendo un appartamento a disposizione mi sono sbizzarito con menu di pesce.

    • piacerebbe anche a me sapere dove poter acquistare le acciughe cantabriche ad un prezzo abbordabile perchè nei supermercati hanno prezzi esagerati rispetto alle nostre acciughe e sono molto più consistenti e spesse rispetto le nostre però con un prezzo di due o tre volte rispetto le nostre.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati da *