Cooked, il documentario

Un articolo che si rispetti non dovrebbe mai cominciare con un quesito, per quanto lecito o spontaneo possa essere.
Eppure, a pensare alla trasposizione del libro Cotto -di cui abbiamo già parlato qui– in un documentario in onda su Netflix, la domanda sorge spontanea: c’era proprio bisogno dell’ennesima trasmissione a tema cucina?
A modesto parere di chi scrive, e che pure ha molto amato la versione cartacea, la risposta è tanto semplice quanto assoluta: sì, ce n’era bisogno.
Definitivamente.
Perchè Cooked, il documentario, non ha proprio nulla dei cooking show ai quali siamo abituati; non si tratta dell’esaltazione del tanto abusato ‘porn’ associato al cibo, e men che meno di una celebrazione egotistica di questo o quell’altro chef acclamato dalle masse e dal momento.
Cooked si prefigge di far conoscere in maniera immediata, e su ampia scala, quella che è la visione del cibo, e del rapporto che sempre più spesso abbiamo con esso, che Pollan da sempre cerca di trasmettere.

Un’educazione, o ancora meglio una rieducazione, via etere perché -ammettiamolo- associare volti, gesti ed azioni concrete alle parole, spesso è molto più efficace di quel tomo che teniamo sul comodino che ci ripromettiamo di leggere di quando in quando senza mai vederne la fine.
E Michael Pollan ci guida, in prima persona, a conoscerli quei volti che tanto sapientemente impastano pane, producono formaggi ,si occupano di cacao o diventano maestri di barbecue.
Volti e persone tutti uniti da un’unica passione, vera, tangibile, per il proprio lavoro e ben consapevoli che a pensare d’essere arrivati ci si fa e si fa del torto un po’ a tutti. Mai prendersi troppo sul serio e, soprattutto, mai smettere di evolvere sembrano essere le filosofie comuni, condivise e più mirate per riuscire nell’intento che Pollan si prefigge.
Quattro episodi dunque da circa un’ora ciascuno, tutti da gustare e suddivisi esattamente come nel libro: Fuoco, Acqua, Aria, Terra; perchè è da questi elementi che siamo circondati e da essi dovremmo farci attirare e ad essi dovremmo ritornare.

Uno spunto di riflessione -dal primo dei quattro episodi- che possa racchiudere fra tutti la quintessenza del documentario ed incuriosirvi a volerne vedere di più?

Pollan che esorta un’amica e commensale vegetariana a provare del maiale cotto a bassa temperatura.
Lei tentenna, quasi riluttante, ma poi accetta, abbozzando come un sorriso.
E scopre che tutto sommato quel che ha appena assaggiato le piace, più di quanto non avesse osato immaginare. E lo ammette con candore, senza timore o rimorso alcuno.
Perchè il cibo, il giusto approccio ad un’alimentazione più sana e consapevole, è proprio tutto lì: nel non averne paura, nel non esorcizzarlo a tutti i costi quanto piuttosto nell’ imparare a conoscerlo, riconoscerlo con onestà, e nel darsi e ridarsi le giuste priorità.
Resta, certo, da vedere se un documentario, per quanto ben fatto, possa davvero cambiarla quella maniera in cui ci relazioniamo al cibo e ci alimentiamo quotidianamente.
Ma, come lo stesso Pollan afferma, alcuni problemi non possono essere risolti se non coadiuvati da un aiuto proattivo e continuo nel tempo da parte dei governi mondiali.
Perché procurarsi cibo sostenibile, in economie globali come quelle attuali, può essere più facile a scriversi che ad attuarsi. Vero.
Ma se cominciamo dalle piccole cose, dal nostro quotidiano, da scelte che possano essere di qualità ancora prima che di quantità, magari insieme possiamo ancora farcela.

Pollan ci crede e vuole crederci.

Chi scrive, anche.

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Rebecca Maier

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