Elizabeth David, la cucina italiana e gli Inglesi

Se siete tra coloro che ritengono che il primo grande divulgatore della cucina italiana in terra d’Albione sia stato Jamie Oliver, è solo perché non sapete chi era Elizabeth David. E tutto sommato siete anche giustificati visto che non esiste in lingua italiana una voce a suo nome in quel misuratore di popolarità che è Wikipedia. Così come non esiste una traduzione in italiano dei suoi testi.
Per utilizzare uno di quei brutti neologismi tanto in voga, si può dire che la David sia stata in qualche modo una “influencer” dei suoi tempi. Si, perché con i suoi articoli ed i suoi libri ha divulgato ed esportato la cucina ed i prodotti mediterranei nella Gran Bretagna del dopoguerra cambiando il modo di intendere e vivere il cibo degli Inglesi e forse anche i loro gusti, avvezzi come erano a quei tempi a scatolame e poco altro.
Ragazza di buona famiglia, nata nel 1913, la David sceglie di abbandonare la vita a cui era destinata, fatta di convenzioni e tradizioni. Viaggia così nel Mediterraneo in barca a vela con un uomo sposato, vive e trascorre del tempo in Francia (dove studia alla Sorbonne interessandosi di storia, architettura e letteratura), in Grecia, in Egitto e in Italia (dove è sospettata di essere una spia).
Dopo la fine della guerra rientra in Gran Bretagna dove viene assalita dalla monotonia e dal grigiume del cibo inglese di allora, neanche un po’ paragonabile a quello a cui era abituata nel corso del suo girovagare. Vengono pubblicati i suoi primi articoli che catturano l’attenzione e l’interesse del pubblico, è del 1951 il suo primo libro “Mediterranean Food”: gli Inglesi cominciano ad imparare cosa sono peperoni, zucchine, melanzane, parmigiano, olio d’oliva.
Nel 1954 esce in Gran Bretagna “Italian Food”, e siccome la David è tra le altre cose un’appassionata di arte, chiede a Renato Guttuso di curarne le illustrazioni. È in questo modo che gli Inglesi hanno il loro primo contatto con il pittore siciliano. Nelle riedizioni del testo i disegni di Guttuso, ahimè, sono stati sostituiti da quelli probabilmente più a buon mercato tratti dall’Opera di Bartolomeo Scappi del 1570. Se quindi vi dovesse capitare a tiro una prima edizione, tenetela stretta perché è praticamente introvabile.
Ma la sensibilità, la curiosità e la raffinatezza di Elizabeth non si esauriscono nell’aver scelto un pittore di vaglia per le sue illustrazioni: “Italian Food” infatti non è un ricettario, o almeno non è solo quello. È una fotografia dell’Italia gastronomica degli anni ’50 con il suo bagaglio fatto di tradizioni, di usi, di eterogeneità e complessità.
Prima di buttar giù la sua opera, la David  è ospite di famiglie bene e di ristoratori, soggiorna a Capri, a Sanremo, a Venezia, a Stresa, a Como, in Sicilia e in Sardegna, è così che riesce a cogliere non solo le differenze macroscopiche delle nostre cucine, ma tutte quelle sfumature che può afferrare solo chi sa bene di cosa sta parlando.
Tra i formaggi parla di mozzarella, nell’accezione pura del termine, ossia di bufala, ben distinguendola dal fior di latte (“mangiato solo dalla servitù”, come un qualche amico aristocratico le aveva una volta detto) e dalla provola. Provate a chiedere a un non campano se ne conosce le differenze.
Sa che esiste una caponata fatta con pane biscottato che nulla ha a che vedere con quella siciliana di melanzane.
Inserisce ricette meno note ai più come i ravioli capresi o i crostini di provatura.
Il tutto condito con digressioni storiche e letterarie, esperienze e descrizioni: la David conosce bene Caterina de’Medici e tutta la diatriba tra cucina francese e cucina toscana, Marinetti e la cucina futurista, cita il Boccaccio o Giuseppe Marotta, racconta con entusiasmo della ricchezza dei nostri mercati, da Rialto a Cagliari.
Non mancano le eccentricità: una pizza al tegame, nel senso di fritta in un tegame, nella cui preparazione viene usato come agente lievitante della baking powder.
E non mancano le lacune: la sezione relativa ai dolci è davvero molto, ma molto, carente.

Italian Food, Elizabeth David, Penguin Books.

 

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Lydia Capasso

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