Grazie, genio: invenzioni in cucina

Come sarebbero le nostre vite in cucina senza James Sharp o Ferdinand Carré? Non riusciamo neppure a immaginarlo. Eppure i nomi di questi signori che hanno cambiato la vita quotidiana di ognuno di noi sono ignoti ai più.
Invenzioni geniali, scoperte casuali, lunghi processi di perfezionamento di macchinari e attrezzi ci hanno permesso di approfittare, in cucina, di comodità inconcepibili qualche secolo fa.

Molte delle apparecchiature che usiamo oggi hanno una paternità contesa, quasi tutte non hanno portato particolare popolarità ai loro inventori. Forse il solo nome che suona familiare quasi a chiunque è quello di Denis Papin, colui che concepì e realizzò la pentola a pressione.

Pentola di Papin – Foto: http://museu.fis.uc.pt/81ig.ht

Pentola di Papin – Foto: http://museu.fis.uc.pt/81ig.ht

Osservando che il vapore occupa un volume enormemente superiore a quello dell’acqua, e che quindi producendo vapore in un recipiente chiuso si crea pressione, pensò a uno strumento in grado di cuocere ossa e scarti di macellazione, soprattutto a beneficio delle classi più umili, preservandone le sostanze nutritive e riducendo tempi e spese. Lo chiamò digestore.
Era il 1680. La pentola a pressione così come la conosciamo sarebbe arrivata molti anni dopo: una versione moderna fu presentata nel 1939 all’esposizione universale di New York.
Perché il gas entrasse in cucina, sostituendo carbone e legna, sporchi e ingombranti, bisognò aspettare un bel po’.

cucina-a-gas-e1397555072527James Sharp, un ingegnere inglese impiegato presso la compagnia del gas, costruì la prima cucina a gas nel 1826; i primi esemplari messi in vendita non ottennero grande riscontro: i potenziali acquirenti ritenevano le nuove cucine pericolose, in più il gas cominciò ad essere diffuso nelle case soltanto alla fine del secolo. Nel frattempo però lo chef di un prestigioso circolo londinese caldeggiò l’invenzione perché più economica e pulita dei vecchi sistemi, senza contare il risparmio di fatica e spazio che comportava non doversi più approvvigionare di legna o carbone. Nel 1851, all’esposizione universale di Londra al Crystal Palace, la cucina a gas riscosse grande successo. Quando il gas cominciò ad avere regolare diffusione domestica, la richiesta delle nuove cucine schizzò alle stelle. La storia era scritta.

Una storia lineare. Non altrettanto quella del frigorifero. Vicenda lunga e articolata, quella della produzione del ghiaccio e del freddo; però si può, in modo non eccessivamente arbitrario, fissare il suo punto di svolta intorno al 1860, quando Ferdinand Carré e suo fratello Edmond, contemporaneamente o quasi a Charles Tellier, ispirati dalle ricerche del fisico Michael Faraday sulla liquefazione dei gas, costruirono un refrigeratore che sfruttava la circolazione dell’ammoniaca. Pochi anni più tardi, il tedesco Carl von Linde realizzò la prima unità refrigerante dotata di compressore. La refrigerazione compì così un tale balzo in avanti che fu possibile in pochi anni effettuare trasporti di carne dal Sud America all’Europa. Carré, per esempio, dotò il piroscafo Paraguay di stiva frigorifera, e lo stesso fece Tellier con la nave Frigorifique, che nel 1876 compì uno storico viaggio tra Rouen e Buenos Aires.

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Non mancava molto all’avvento del freddo estremo: la surgelazione. Il signor Clarence Birdseye lavorava come naturalista nell’Artide per conto del governo degli Stati Uniti quando la sua attenzione venne catturata dal modo in cui il pesce pescato dagli Inuit si congelava velocemente e appariva, una volta cucinato, assai simile al fresco. Ne dedusse che per mantenere consistenza, gusto e freschezza fossero necessarie una temperatura bassissima e soprattutto una congelazione molto rapida. Tornato a New York, nel 1923 avviò la produzione di alimenti surgelati in speciali contenitori di sua invenzione, a quanto si dice con un investimento iniziale di soli 7 dollari. Sei anni più tardi, la Goldman-Sachs Trading Corporation acquistò invenzione e brevetto per 22 milioni di dollari. Un discreto affare, per Mr. Birdseye.

Nel frattempo, qualcuno aveva anche cominciato a regalarci apparecchi per frullare, mixare, omogeneizzare. Al riguardo c’è grande confusione sotto il cielo. Sembra che negli anni si sia provato di tutto per facilitare queste operazioni, cominciando dai frullini a manovella, insoddisfacenti finché Turner Williams non ebbe l’idea di applicarvi due fruste anziché una sola, lanciando uno sbattiuova di grande successo. Altra strada seguì Stephen J. Poplawski, che negli anni ’10 del ‘900 costruì una sorta di mixer composto da un grosso bicchiere di vetro al cui fondo un perno filettato faceva girare uno sbattitore, Nel ’22 applicò al fondo una lama rotante, di fatto inventando il frullatore.
Ma il mixer inteso come robot, più completo, ha un’altra storia. Un’impastatrice casalinga dotata di pala e ciotola che ruotavano in direzioni opposte fu costruita dall’ingegner Herbert Johnson e adottata dalla US Navy a bordo delle proprie navi nel 1916. Con l’aggiunta di accessori capaci di far compiere alla macchina molte operazioni utili in cucina, quell’impastatrice divenne il KitchenAid. La leggenda vuole che il nome sia nato da un commento fatto dalla moglie di Johnson: “E’ il miglior aiuto in cucina che abbia mai avuto”.
Vi stupirebbe sapere che la lavastoviglie, che ci sembra un’invenzione molto recente, fu brevettata nel 1886? E da una signora della buona società statunitense, non dal solito ingegnere. L’intraprendente signora, consorte di un facoltoso uomo d’affari, usava ricevere. Ma al termine di feste e cene la coglieva un grande disappunto nel constatare come i suoi preziosi servizi da tavola fossero stati rovinati dalla servitù durante il lavaggio. Perciò decise di occuparsi personalmente della pulizia, e dopo qualche tempo dovette rendersi conto che il lavoro era faticoso e impegnativo. Così vagheggiò un meccanismo capace di gettare acqua calda saponata ad alta pressione sulle pile di piatti. Ma anziché limitarsi a vagheggiare, si applicò alla realizzazione dell’idea, tanto da brevettarla e fondare la compagnia Garis Cochrane Crescent Washing Machine, che cominciò a produrre e vendere lavastoviglie a ristoranti e alberghi.

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Una signora è coinvolta anche nell’invenzione delle pentole antiaderenti. Il Teflon fu scoperto casualmente da Roy Plunkett, che lavorava per la DuPont, nel 1938, e venne inizialmente usato per rivestire l’interno delle canne delle armi da fuoco onde ridurre l’attrito. Marc Gregoire, un ingegnere francese, negli anni ’50 si diede ad immaginare applicazioni diverse. Si racconta che abbia usato dapprima il Teflon per rivestire la propria attrezzatura da pesca e che sia stata sua moglie Colette, stanca di raschiare e scrostare, a suggerirgli di ricoprire con il nuovo materiale l’interno delle pentole di alluminio. La padella antiaderente fu brevettata nel 1954 e commercializzata dai Gregoire dall’anno seguente. Nel 1956 i due coniugi fondarono la Tefal, nel cui nome si fondono le parole Teflon e alluminio.
Nasce dall’intuito di un ingegnere il forno a microonde. Lui si chiamava Percy Spencer e lavorava alla Raytheon, azienda produttrice di radar e apparecchiature militari. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Raytheon costruiva radar a microonde che utilizzavano un dispositivo chiamato magnetron, recentemente inventato da scienziati britannici. Un giorno del 1945, Spencer si trovava in laboratorio accanto ad un magnetron in funzione quando si accorse che uno snack al cioccolato che aveva in tasca si era fuso. Folgorato da un’intuizione, accostò una ciotola di chicchi di mais all’apparecchio, e rapidamente questi scoppiettarono diventando pop corn. Non mancarono gli incidenti, come l’esplosione di un uovo che Spencer provò a cuocere, ma sta di fatto che l’ingegnere aveva scoperto l’applicazione delle microonde alla cottura dei cibi. I primi forni a microonde prodotti dalla Raytheon erano enormi, pesantissimi e costosissimi, e vennero utilizzati soltanto da alcuni ristoranti. Il primo modello domestico fu realizzato nel 1955 dalla Tappan Stove Company.

omino-bb.sembra-facile-e1397555822760Ma concludiamo con un aggeggio ben più semplice e che è parte integrante della nostra quotidianità: la caffettiera. Anche nel suo caso, c’è lo zampino dei francesi. Fino al 1800 il caffè si preparava solo per infusione o decozione. Poi nel 1802 il farmacista François Antoine Henri Descroizilles di Rouen costruì una caffetiera costituita da due recipienti sovrapposti separati da un filtro. Nel recipiente superiore si versava l’acqua bollente, che lentamente colava attraverso il filtro colmo di caffé nel recipiente inferiore. Chiamò la sua invenzione caféolette. Negli stessi anni, sembra che l’arcivescovo di Parigi, Jean Baptiste de Belloy, abbia avuto la medesima idea. Anche lui si premurò di battezzare l’invenzione, che chiamò, con minor modestia, débelloire. Era nata, in sostanza, la caffettiera napoletana.
Ma, trattandosi di caffè, in questa vicenda non poteva non fare il suo ingresso un italiano, e non uno qualunque: Alfonso Bialetti, che nel 1933 realizzò la celeberrima, immortale moka dell’omino coi baffi dall’inconfondibile forma Art Deco. Un successo strordinario che dura ancora oggi.

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Giovanna Esposito

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