“Ho visto cose che voi umani…”: una cuoca italiana e le richieste degli stranieri

Quanto siamo responsabili del fatto che molti stranieri abbiano un’idea distorta della natura e delle caratteristiche della cucina italiana? Siamo capaci di comunicarla come dovremmo, considerando anche che tanti ristoratori, lavorando soprattutto con un pubblico di turisti, si adattano furbescamente alle loro richieste, anche quando sono insensate?
Per farmi un’idea più precisa di cosa cerchino gli stranieri quando si siedono ad una tavola italiana, ho chiesto lumi a Lisa Conti, chef che lavora con loro tutti i giorni dell’anno, per banchetti di nozze, compleanni, feste di ogni genere, là nel Chianti, meta agognata di ogni turista.

Il suo pubblico è composto da statunitensi e francesi, tedeschi e olandesi, scandinavi, australiani, israeliani. Da persone provenienti da mezzo mondo, insomma.

Lisa Conti

Lisa Conti

Le differenze tra un popolo e l’altro, mi dice, sono notevoli: i francesi sono i più preparati, ma anche loro, come vedremo, non sono esenti da qualche attentato alla cucina italiana; i tedeschi sono quelli che tendono meno a “sporcare” ogni piatto nazionale con condimenti bizzarri. Tutti gli altri sembrano avere opinioni molto simili circa ciò che debba essere la nostra cucina: pesante, greve, piena di ogni cosa, costantemente annegata nel formaggio, nella panna e nell’aceto balsamico. 
In sostanza, la natura in fondo semplice della tradizione italiana è sconosciuta e non apprezzata. I piatti che costituiscono modelli di riferimento sono le lasagne e la parmigiana, entrambe nella versione più ricca immaginabile, e comunque entrambe anche passibili di ogni declinazione balzana che includa una pletora di ingredienti. Soprattutto colate di formaggio.
E partiamo proprio da qui, dal formaggio, e da una sua cugina: la panna. Cadono a pioggia su qualunque piatto, senza distinzioni. Nonostante le resistenze della cuoca, non è possibile impedire agli avventori di arraffare, come minimo, una formaggiera e spargere parmigiano su qualunque cosa, dai piatti di pasta con le vongole o il pesce alle bruschette con l’olio nuovo. Persino sul fritto e addirittura sull’insalata. Come minimo, dicevo, perché in realtà l’aspirazione sarebbe quella di avere colate di formaggio fuso che si spandono sul pollo fritto, sulla tagliata con rucola e grana, sui crostacei (da mangiare rigorosamente con panna e cheese). La panna dovrebbe insinuarsi ovunque, a sentire le convinzioni che circolano; il senso generale è sempre quello: certa cucina italiana, come la toscana, appunto, è troppo semplice; bisogna che venga appesantita con aggiunte di sostanza. Perciò le minestre di legumi o le classiche zuppe toscane, dalla ribollita alla pappa al pomodoro, non hanno alcun successo. Sono povere. E una semplice pasta al pomodoro e basilico è destinata ad apparire come una Cenerentola prima che arrivi la fata madrina. Armata non di una bacchetta magica, ma di formaggio, panna e aceto balsamico.

Chicken pasta. By TourismSchool - Own work, CC BY-SA 4.0,

Chicken pasta.
By TourismSchool – Own work, CC BY-SA 4.0,

Panna e formaggio, dicevamo, ma il terzo intruso è lui, infatti: l’aceto balsamico. Lo si versa senza risparmio, ovviamente, sull’insalata, ma è bene intendersi: su QUALUNQUE insalata. La Caprese salad, tanto per dire, che vede la povera mozzarella annaspare nel fiume scuro. Lo si spande sulla burrata, sul pesce fritto (unico pesce che risulta gradito ai più) e su qualunque altro fritto, ivi incluso quello di verdure in pastella, rendendolo molle e inzuppato con molta soddisfazione.
Perfino la bistecca (che di regola ha da essere stracotta) pretende aceto balsamico, formaggio filante, mostarda, ketchup, tanto da finire per confondersi con un hamburger. E il ketchup, per gli statunitensi, è ingrediente fondamentale per condire ogni pasta che abbia un sugo di carne: al bando i sughi bianchi o comunque poco arrossati, basta qualche schizzo di ketchup e il problema è risolto.
Chi sta in cucina non ha che da macerarsi nelle sue frustrazioni mentre assiste impotente allo scempio dei propri piatti perpetrato in tavola.

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Caserecce con sugo toscano di Lisa. Troppo bianche, ci vuole il ketchup…

E, chiedo a Lisa, quanto ai dolci? Sembra che in Italia abbiamo soltanto il tiramisù e la panna cotta. I cantuccini, un po’, giacché siamo in Toscana. Nemmeno il babà, che potremmo pensare abbia una notorietà universale, risulta conosciuto (se non dai francesi, presumibilmente, che di savarin ne capiscono qualcosa) e men che meno i cannoli siciliani. I dolci comunque andrebbero tutti, indistintamente, affiancati dal gelato, che si tratti di crème caramel, di torte o di qualunque altra cosa. E, ça va sans dire, da salse. Altrimenti sembrano poveri anche quelli. La delusione si dipinge sui volti quando una semplice salsa di cioccolato, per esempio, accompagna il dessert: occorre un assortimento di toppings, assortimento vastissimo che, s’intende, è possibile avere soltanto se si tengono in cucina bottiglie e barattoli di schifezzuole pronte e industriali, e non è certo il caso di Lisa. Insomma, anche i dolci vanno caricati e aggravati; così come le coppe di gelato, che dovrebbero apparire come pericolanti ammassi di smarties, croccanti, biscotti farciti e barrette, e a presentarle con delle finissime crêpes dentelles si rischia di sentirsi dire che quelle cosette lì non sanno di nulla e sono troppo inconsistenti. Povere, di nuovo.
Ma la curiosità che più mi divora è sapere quali sono le richieste più eccentriche di piatti presunti italiani da inserire nei menù di festeggiamenti e banchetti. So che mi pentirò di averlo chiesto.
E infatti.
– La pasta con le vongole e sopra un arrosto di agnello. Richiesta di norvegesi. Piatto tipico italiano, a loro dire, e la chef, non conoscendolo, mancava evidentemente di cultura della cucina nazionale. Inutile cercare di spiegare che in Italia la pasta non è considerata un contorno e non usa mangiare tutto insieme, pasta e arrosto.
– Il risotto con i funghi e il pollo, reclamato da australiani perché visto in un libro di ricette italiane (vai a sapere scritto da chi). Fa il paio con le tristemente famose chicken tagliatelli, amate negli Stati Uniti, nelle differenti versioni: con bacon e panna, con pomodoro e bacon, ma sempre con una innaffiata di parmigiano misto a cheddar (o a Monterey Jack cheese) fuso nella panna.
– La lasagna farcita con pomodoro, besciamella, formaggio e cotoletta. Sì, cotoletta intesa come carne impanata. Va detto che alla fantasia non ci sono limiti, apprezziamo almeno questo. e prendiamo un antiemetico.
– L’aggiunta di una fonduta di gorgonzola sul fresco piatto di freselline di grano duro con mozzarella di bufala, datterini e basilico. Perché, sì, l’hanno mangiata in un ristorante italiano, l’insalata con il lago di gorgonzola, e, sì, sono venuti apposta dall’altra parte del mondo per organizzare un pranzo di matrimonio molto molto molto italiano.
 Mafia style, come dissero altri clienti. Svedesi, se non erro.

Eggplant parmesan dentro un panino, naturalmente accompagnata da pasta. Foto di Lucas Richarz - Flickr. Licenza CC 2.0

Eggplant parmesan dentro un panino, naturalmente accompagnata da pasta.
Foto di Lucas Richarz – Flickr.
Licenza CC 2.0

D’altronde, al primo assaggio di una mozzarella vera, che non sia uno di quei panetti solidi usati per condire certe pizze, alcuni la sdegnano definendola fradicia.
D’altronde dei clienti israeliani hanno sgranato gli occhi nello scoprire che in Italia esistono gli spinaci.
D’altronde persino i francesi, i più consapevoli di tutti, richiedono abitualmente spaghetti lessi conditi con olio come contorno per il pollo fritto. Poi li rovesciano sul pollo medesimo e mangiano tutto insieme tagliando con il coltello pasta e pollo.
Manca sicuramente la curiosità, mi dice Lisa, e si arriva nel nostro paese completamente impreparati, ma convinti di sapere cosa mangiamo noi italiani. E questo è sicuro. Ma sarà anche il caso di farci qualche domanda?
Sarà anche colpa nostra?
E una settimana mondiale dedicata alla cucina italiana non dovrebbe porre un’attenzione intensiva e totale alla divulgazione della sua autentica natura e dei suoi autentici piatti, anziché proporre, sia pure con lodevoli intenzioni, film e mostre d’arte?

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Giovanna Esposito

2 Commenti Aggiungi un commento

  • I francesi mangiano spesso la pasta come contorno alla carne, un’abitudine che ha origine nella cucina alsaziana e lorena dove i nudeln sono sempre un contorno. Ci ero abituato anch’io e diciamo che non mi dispiaceva (è buono…), ma poi vivendo in Italia questa consuetudine francese mi è diventata estranea.

  • Una clientela che il mio maestro bresciano definiva senza mezzi termini “morti de fame”; e io che pensavo fosse un tantino classista ed elitario, qualche annetto dopo al posto suo, dovetti constatarne la grande saggezza e raffinatezza di pensiero.
    Ma questi qui per di più rientrano nel caso non d’ignoranza della cucina italiana, di quella francese o peruviana, piuttosto non hanno mai messo piede in un ristorante in vita loro: non puoi cambiarli, educarli, metter su un dialogo. Il dialogo c’è quando c’è una base comune già conquistata prima dell’età della ragione, qui non si può far nulla. Vogliono quello che vogliono loro, punto. A casa degli altri, però.
    La cucina non è mai del cameriere, del cliente e neppure del proprietario, di chi paga il conto o l’affitto, la cucina è del cuoco e basta; se il cuoco non va bene, si cambia genere e si mette uno che fa lo spaghetto con l’ananas.
    Poi ci sono i compromessi, certo, le questioni d’ambiente, i mutui, le rate da pagare, i vizi, i figlioli; questo è sempre lo stesso mare, ognuno con la sua barchetta, ma è sempre lo stesso mare.
    Però pure il nome sulla barchetta, magari sbiadisce e si consuma, perderà qualche lettera, ma rimane sempre lo stesso. Se proprio si deve, si affonderà con quello.
    Un abbraccio,
    c.

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