Holi, la festa indù dei colori

Holi - Foto by Kamalakanta Nayak

Se programmate un viaggio in India in concomitanza con l’ultimo giorno del plenilunio del mese di falgun (generalmente nell’ultima quindicina di febbraio o la prima quindicina di marzo; quest’anno accade l’11 e il 12 marzo), mettete in valigia il vestito a cui tenete meno, perché non lo recuperate più!

Già, perché questo giorno, conosciuto come Holi o la festa dei colori, corrisponde, secondo il calendario indù, all’inizio della primavera e della stagione del raccolto, e lo si festeggia ballando, cantando, e lanciando polveri e bombe d’acqua colorate addosso a tutta la gente che si incrocia sulla propria strada. È una festa gioiosa, un tripudio di colori, balli, canti, mangiate e bevute, che coinvolge tutti indistintamente, senza tenere conto dell’età, del sesso e dell’estrazione sociale. Nemmeno gli animali sono esclusi dalla passata di colore sulla testa o il lancio dei gavettoni colorati.

Foto: S. Gerner

In un paese dove esistono delle rigide strutture sociali e vige il rispetto per il prossimo, Holi rappresenta l’occasione per mettere da parte le proprie inibizioni e godersi un giorno di sfrenato divertimento, imbrattando i passanti e, magari, sfiorando il volto dell’oggetto del desiderio, perché in questo giorno tutto è lecito.

Foto: Narender

Originariamente legata al trionfo del bene sul male, la festa di Holi ha radici antiche. Numerosi affreschi, incisioni su pietra e dipinti murali presenti all’interno di antichi templi indù testimoniano che questa ricorrenza veniva celebrata già 300 anni avanti Cristo. La mitologia indù narra che un arrogante re demone di nome Hiranyakashipu, si sottopose a lunghi anni di penitenze e di preghiere per acquisire il potere necessario per soppiantare Vishnu, una delle tre divinità del pantheon induista, e così diventare il Signore del Paradiso, della Terra e degli Inferi. Proclamandosi unico dio, ordinò ai suoi sudditi di adorarlo, senza fare i conti con il suo giovane figlio Prahlad, fervente devoto di Vishnu nonostante il decreto paterno.

Foto: Asit Kumar tramite Jordi Bernabeu

Dopo numerosi tentativi falliti per eliminare il figlio, Hiranyakashipu chiese aiuto alla sorella Holika, e insieme approntarono una pira ardente per mandarlo al rogo. Holika, avendo la concessione divina di essere immune al fuoco, si sedette sopra la pira con Prahlad stretto fra le sue braccia, ma la fede sincera e la totale devozione del giovane nei confronti di Vishnu lo salvarono dalla violenza del fuoco, mentre Holika fu ridotta in cenere. Successivamente, Vishnu uccise anche il re demone Hiranyakashipu.
E così, tutti gli anni durante la notte di luna piena, vigilia della festa di Holi, si festeggia il trionfo di Prahlad, che personifica il bene, e la disfatta di Holika, incarnazione del male, bruciando la sua effigie in un enorme falò.

Foto: Biswajit Das

La leggenda narra che Holi celebra anche l’amore eterno fra Krishna, l’incarnazione del dio Vishnu (gli dei, essendo esenti dal ciclo della nascita e della morte, non si reincarnano; essi assumono la forma umana, perciò si incarnano, per compiere determinati incarichi), e Radha, una delle belle pastorelle che il giovane Krishna amava tormentare, rubando a loro il latte e lo yogurt, rincorrendole e spruzzandole con acqua colorata. Si racconta che Krishna, scuro di carnagione, decise di dipingere la faccia di Radha, per renderla più simile alla propria. Seguendo il suo esempio, anche gli altri ragazzi del villaggio cominciarono a fare questo gioco e con il passare del tempo il gioco assunse una diversa connotazione, come si addiceva a questo dio della leggendaria vita amorosa.

Foto: Jitenderasingh

In questo giorno, dove si dà libera espressione a tutte le emozioni represse, non possono mancare il bhang, una bevanda a base di latte, mandorle, spezie e foglie di marijuana, e il thandai, una miscela di latte, zucchero, mandorle tritate, semi di melone, finocchio, cardamomo e papavero, pepe, zafferano, petali di rosa… e cannabis (marijuana). Queste bevande vengono offerte ai passanti ignari che soccombono agli effetti, spesso dando vita a delle scene inverosimili, trasformando gente seria e rispettabile in persone disinibite, intente in esibizioni completamente fuori carattere.

In questa giornata di festeggiamenti frenetici, si bussa sulle porte dei parenti e amici, colori in mano, e in ogni casa si offre agli ospiti dei dolci tipici della festa. Uno di questi è il Shakkar pare, che, in comune con alcuni dolci mediorientali, viene fritto e inzuppato in uno sciroppo di zucchero.

Shakkar pare
(per un centinaio di dolcetti)

250 g farina 00
60 g burro chiarificato (ghee) fuso nel microonde
poca acqua  per impastare (meno di 100 ml)

Per lo sciroppo:
250 g zucchero semolato
80 ml acqua

Mescolare il ghee e la farina con la punta delle dita fino ad ottenere un composto dalla consistenza sabbiosa. Aggiungere poco alla volta l’acqua fredda e lavorarlo fino a renderlo compatto e sodo. Avvolgere la pasta nella pellicola da cucina e lasciarla riposare per 30 minuti.
Trascorso il tempo, rilavorare brevemente la pasta e dividerla in due parti uguali. Lasciare una parte coperta per evitare che si secchi e stendere l’altra metà ad un’altezza di circa ½ cm.
Con l’aiuto di una rotella tagliapasta dentellata tagliare l’impasto in quadratini e friggerli in abbondante olio di semi o burro chiarificato. L’olio deve essere caldo ma non bollente e i quadratini devono essere scolati quando sono dorati.
Ripetere con l’altra metà di pasta.
Nel frattempo che si raffreddano i quadratini fritti, preparare lo sciroppo di zucchero.
Versare 80 ml d’acqua in una pentola piccola col fondo pesante. Aggiungere lo zucchero e porre sul fuoco medio finché lo zucchero si scioglie. Lo sciroppo è pronto quando raggiunge la temperatura di 112-115° C. Lasciarlo intiepidire e addensare un po’. A questo punto, mettere pochi quadratini alla volta nello sciroppo, toglierli velocemente e trasferirli in una ciotola. Quando sono tutti ricoperti, separarli se sono attaccati, e metterli su un piatto da portata. Se lo sciroppo dovesse ispessirsi troppo, scaldarlo finché raggiunge di nuovo una consistenza ottimale

Gli shakkar para si conservano in una scatola ermetica fino ad un paio di settimane.

Credits foto apertura: Kamalakanta Nayak

L'autore Vedi tutti gli articoli

Savita Kulkarni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati da *