Il bicerin della Consolata

Il bicerin – bicchierino, in piemontese – più che una semplice bevanda a base di cioccolato, caffè e crema di latte, è la quintessenza della Torino d’antan.

La passione di Torino per il cioccolato ha una storia lunga. Arriva in città a fine Cinquecento, portato da Caterina, la moglie spagnola del duca Carlo Emanuele I di Savoia, ed in breve tempo diventa tradizione. Verso la metà del XVII secolo si producono a Torino 750 libbre di cioccolato al giorno, esportato per la gran parte verso Austria, Svizzera, Germania e Francia, Paesi in cui si stava proprio allora diffondendo la moda delle bevande a base di cioccolato – ancora considerato la panacea contro tutti i mali. Sempre a Torino, nel 1778, il signor Doret mise a punto la prima macchina automatica che permetteva di macinare la pasta di cacao e di miscelarla con vaniglia e zucchero, creando l’antesignana dell’odierna tavoletta. Di qualche decennio posteriore è il connubio di cacao e nocciole tritate, la tanto celebrata pasta Gianduia.

Nel solco della dolce tradizione sabauda si inserisce il bicerin.

Cioccolato e caffè bollenti, crema di latte fredda: tre semplici ingredienti, non mescolati ma versati a strati nel bicchiere (che di piccolo ha solo il nome) creano una bevanda corroborante e per nulla stucchevole, evoluzione della settecentesca bavareisa, la colazione dei torinesi del tempo, che veniva servita accompagnata da un assortimento di bagnà, biscottini da intingere tra cui figuravano, probabilmente, torcetti, paste d’melia e savoiardi.

La tradizione vuole che questa golosità sia nata nel minuscolo e omonimo locale di piazza della Consolata, aperto a fine Settecento come acquacedratario, ristrutturato nell’Ottocento e rimasto immutato da allora. Gli otto tavolini di marmo sono gli stessi dei tempi di Cavour, di Alexandre Dumas padre e Silvio Pellico e poi di Puccini e Macario, tutti, pare, grandi frequentatori del caffè.

Nell’Ottocento il bicerin ebbe un successo tale da essere preparato in molti caffè della città. Poi, come spesso accade, le mode cambiano ed addirittura negli anni ’70 l’unico locale dove lo si poteva assaggiare era il baretto della Consolata. Da allora sono passati quarant’anni e la bevanda della Belle Époque gode di una fama planetaria: in un pomeriggio di fine estate è molto facile imbattersi in turisti di svariate nazionalità che si concedono una sosta profana seduti ai tavolini della piazzetta di fronte alla Chiesa di Santa Maria della Consolazione. Non di solo barocco piemontese vive l’uomo.

            

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Daniela Acquadro

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