Il gusto italo-olandese di Eugenio Boer

Se è vero quel che si dice riguardo al patrimonio genetico che si arricchisce quando più etnie si uniscono, allora il DNA di Eugenio Boer, di padre olandese e di madre siculo-genovese, è certamente di gran qualità.

In cucina da quando aveva tredici anni, con esperienze maturate accanto a personaggi del calibro di Norbert Niederkofler e Alberto Rizzo, Eugenio è approdato da qualche anno nella cucina di Enocratia, quel posto a Milano dove i piatti sono studiati in funzione del vino.
Con uno stile tutto suo, deciso e riconoscibile, mai banale, a volte felicemente azzardato, Eugenio è rientrato qualche giorno fa da Ferrara dove ha stravinto alla prima edizione del Bia Cous Cous & Friends, la costola padana del Cous Cous Fest di San Vito Lo Capo che ha visto “scontrarsi” il cous cous con la polenta, la pasta ed il riso.
Premio come miglior piatto per la giuria popolare e premio speciale per la giuria tecnica, il suo “risotto alla cenere, salmerino di montagna e le sue uova” ha sbaragliato i concorrenti.

Una vittoria condivisa moralmente, e non solo, con la bella Emma, sua moglie, che per due giorni ha vestito i panni del suo sous chef, ma anche con il suo mentore a cui il piatto era dedicato: Norbert Niederkofler.
Prima di ripartire per Barolo dove cucinerà insieme a Christian Milone e a Giuseppe Iannotti per Elton John, Gianna Nannini e altri grandi presenti al Collisioni Festival, Eugenio ha risposto per noi a “Il gusto di Proust, ovvero il questionario di Proust a gusto nostro”.

Come definiresti la tua cucina, in tre aggettivi?
La cucina delle 3E come Eugenio: Elegante, Emozionale, Efficace.

Quali sono le tre cose che porteresti con te sull’isola deserta?
Emma, tutto il necessario per coltivare frutta e verdura, ed una coppia di vitelli.

Qual è stato il tuo primo flop ai fornelli?
Un pan brioche con un peso specifico di 3 tonnellate…

E il più recente?
Quando ad un cliente è esploso nel piatto un coscio di piccione farcito…

Qual è il tuo peggior difetto?
Quando mi mancano le parole e i miei ragazzi devono interpretare i miei gesti.

E la tua migliore qualità?
Non lo so, spero di averne!

Quale ingrediente non è mai presente nei tuoi piatti?
Quello che non esiste ancora.

Chi è il tuo eroe/la tua eroina?
Nella vita mio padre.
Dal lato professionale posso dire che ammiro tutti coloro che rompono i codici di un paradigma culinario per creare qualcosa di veramente nuovo, una nuova cucina al passo con la propria epoca.

Qual è il primo ricordo che hai di te stesso ai fornelli?
A 3 anni facevo la pasta fresca ripiena in Olanda con la nonna.

Se dovessi scegliere un solo piatto che ti rappresenti, quale sarebbe?
Il cervo, lamponi alla senape, radice di liquirizia, erba ruta e foie-gras. Un piatto che grazie alle textures, ai sapori ed alle temperature, concretizza delle sensazioni ancestrali accompagnate dall’impatto visivo dei diversi ingredienti: una scena di caccia in una foresta.

Qual è l’ultimo libro che hai letto?
Divoro pubblicazioni e libri dedicati al mio lavoro ad un ritmo insostenibile. Ma l’ultimo non cucino-centrico è l’Aleph di Borges.

Quale piatto vorresti che qualcun altro cucinasse per te?
Risotto alla zucca e rosmarino…un gran bel ricordo.

Qual è il paese dalla gastronomia più affascinante per te, Italia a parte?
Il mondo. Tutto.

Cosa ami fare quando non sei in cucina?
Stare con la mia compagna che non vedo quasi mai e fare le cose che si fanno nella quotidianità, e con un po’ più di tempo viaggiare.

Lascia un piccolo consiglio ai nostri lettori: un ingrediente da riscoprire.
La cucina è sempre stata il centro della casa, dove c’era la stufa o il caminetto, il luogo caldo, il locus amoenus per antonomasia: luogo d’incontro, di ritrovo, di famiglia, di affetti, di amici. La cucina è un luogo magico dove si possono scoprire e riscoprire gusti, ingredienti, ricette, utensili, tecniche futuristiche, trucchi della nonna… La cucina è un luogo di libertà, dove non c’è limite alla personale sperimentazione gastronomica. La cucina è il luogo della relatività del valore delle cose in cui “tutto e nulla” è essenziale, tutto si trasforma.
Ecco, io consiglierei di riappropriarsi della cucina tout-court.

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Redazione GIEMME

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