La Vastedda della Valle del Belice

La Vastedda della Valle del Belìce: per conoscerla bisogna innanzitutto imparare a chiamarla come si deve. Fate battere la lingua sul palato mentre pronunciate le D e ponete l’accento sulla I quando nominate il Belìce, l’accento sulla prima E è un errore ereditato da un qualche giornalista ai tempi del tristemente noto terremoto.

Formaggio a pasta filata ottenuto da latte di pecora crudo (giurano che non ne siano noti altri del genere in Europa) prodotto, neanche a dirlo, nella Valle del Belìce, che abbraccia la campagna siciliana tra le province di Agrigento, Palermo e Trapani, pare sia nato per non buttar via il latte ovino che d’estate non poteva essere utilizzato nella produzione di pecorini che per il troppo caldo “gonfiavano”, ossia fermentavano. Fu così che un qualche intraprendente pastore provò a filare i pecorini “gonfiati” con acqua calda, fu così che in periodo estivo nella zona del Belìce si cominciò a produrre la Vastedda.

Se fino ad una quindicina di anni fa la Vastedda, che pare debba il suo nome ai piatti fondi di ceramica in cui veniva messa in forma dopo la filatura, era un formaggio prettamente estivo, dopo l’inserimento nei Presidi Slow Food, il conferimento della DOP ed il conseguente aumento della richiesta, viene prodotta tutto l’anno. Ma dicono che la migliore sia proprio quella dei mesi caldi, quando il latte delle pecore autoctone è più concentrato.
Vagamente somigliante ad una caciotta, anche se ha un sapore più pungente ed acidulo, la Vastedda non viene stagionata e non ha crosta esterna perchè viene messa sottovuoto dopo tre giorni dalla sua realizzazione per evitare che secchi e perda la sua naturale morbidezza. E soprattutto il sottovuoto consente che venga agevolmente trasportata e conservata.
Giurano però, e non si fatica a crederlo, che mangiata fresca, in loco, abbia tutt’altro sapore.
In questi giorni la Vastedda della Valle del Belìce è in tournèe per farsi conoscere anche nel profondo Nord.
Lunedì sera era a Milano al Liberty cucinata da un ambasciatore d’eccezione, Igles Corelli, e da Andrea Provenzani, chef del Liberty per l’appunto. La tournèe è proseguita anche in Piemonte e in Veneto, ospitata nelle cucine di Marcello Trentini e Franco Favaretto.
Perchè se è vero che la Vastedda è ottima con un filo d’olio, meglio ne Nocellara del Belìce, e un pizzico d’origano su una fetta di pane nero, meglio se di Castelvetrano, è altresì vero che in cucina si presta ad un’infinità di preparazioni.

 

 

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Lydia Capasso

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