Memoriale (dolce) dei conventi

Chiunque abbia visitato il Portogallo ne ha riportato il ricordo dei pastéis de nata, probabilmente nella celebratissima versione di Belém, venduta nell’omonima pasteleria e la cui ricetta, segreta, è nata nel vicino e magnifico monastero dos Jerònimos. Ma di dolci, in Portogallo, ce ne sono tanti, e curiosi.
La maggior parte di essi, proprio come i pastéis di Belém, nasce dalle sapienti mani delle monache nei tanti e splendidi conventi del paese, e da là si diffonde restando però sempre fedele a se stessa. Dolci semplici ma sorprendenti, quasi sempre a base di uova, tante uova, talvolta quasi solo uova, anzi tuorli; e pochi altri ingredienti, mandorle, cannella, scorza d’agrumi, occasionalmente latte, panna o formaggio, e molto zucchero, di solito sotto forma di sciroppo. Dolci-dolci, forse non conformi ai nostri gusti, ma spesso con una speciale leggerezza nella consistenza.
Si dice che l’overdose di tuorli derivi dal fatto che nelle lavanderie dei conventi si faceva dispendio di albumi perché si usavano per inamidare i tessuti. Come che sia, da questo giallo profluvio derivano pasticcini, budini e dolcetti che, prima venduti direttamente nei conventi, si sono poi “laicizzati” diventando partimonio comune dei tanti forni e delle tante pasticcerie del paese. E non è un caso che molti di questi dessert hanno nomi che evocano il cielo, il paradiso, gli angeli.
Basti pensare che uno dei più celebri gastronomi e autori di ricette portoghesi era un abate: Manuel Joaquim Machado Rebelo, meglio noto come Abade de Priscos, vissuto tra il XIX e il XX secolo e creatore del Pudim “Abade de Priscos”, il budino che porta il suo nome, a base di tuorli e sciroppo di zucchero, aromatizzato con cannella e Porto.
Tra i più famosi dolci conventuali, i papos de anjo (pappagorge, gozzi o chiacchiere d’angelo, sto ancora cercando di appurare quale sia la giusta traduzione), la cui ricetta sembra risalire al 1300-1400 ed è davvero tra le più singolari: i tuorli vengono semplicemente montati e poi messi in formine circolari e infornati. Una volta cotti, vengono immersi in uno sciroppo di acqua, zucchero e vaniglia e lasciati intridere.
E ancora: gli ovos moles di Aveiro: qui un composto di uova e zucchero viene usato per farcire delle sottili sfoglie a forma di conchiglia.
Famosissime, e veramente deliziose, le queijadas de Sintra, tartellette dalla pasta sottile ripiena di una crema di formaggio fresco con uova, zucchero e cannella. La loro è una lunga storia che ci riporta almeno al XIII secolo, periodo in cui, secondo alcuni documenti dell’epoca, le queijadas fungevano addirittura da moneta di scambio in alcune transazioni.
Notevoli anche i dolci conventuali dell’ Alentejo, come l’encharcada del convento di Santa Clara, a base, neanche a dirlo, di tuorli, sciroppo di zucchero e cannella, ma prodotta in tutta la regione con alcune varianti; il fidalgo, con ingredienti analoghi ma leggermente bruciacchiato, come una crème brûlée, una volta sfornato, e il sericaia o sericà, una sorta di torta con tuorli e albumi montati, latte, farina, cannella e scorza di limone, a volte accompagnata da susine di una varietà tipica delle zona.
Ma qui, oggi, parliamo del toucinho do céu (grasso, lardo o pancetta del cielo), creato dalle monache cistercensi del monastero di Odivelas, presso Lisbona, famose anche per le loro marmellate. E, detto così, en passant, per le abitudini dissolute, tanto che i dolci pare fossero l’offerta di benvenuto in occasione delle visite di amanti illustri, come il re Giovanni V. Dai quaderni di ricette dell’ultima suora vissuta e morta nel convento, Madre Carolina Augusta de Castro e Silva, è stato ricavato un libro di cucina pubblicato negli anni ’90.
Il toucinho do céu è (indovinate un po’?) a base di tuorli. E molto zuccherino. Ha una consistenza particolare: una crosticina che ricorda una meringa e l’interno umido simile a una torta caprese.

La ricetta è di Damião Costa.

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Toucinho do céu

300 g di mandorle spellate
500 g di zucchero
200 ml d’acqua
18 tuorli
2 uova intere
1 pizzico di sale
1 cucchiaino da caffè di cannella
Zucchero a velo per spolverizzare il dolce
Burro e farina per preparare lo stampo

Tostare leggermente le mandorle in forno o in una padella antiaderente. Tritarle finemente, ma senza ridurle in farina.
In una casseruola, mettere lo zucchero e l’acqua, portare a ebollizione e fermare la cottura dello sciroppo quando arriva a 107-109° o comunque quando, versato da un cucchiaio, forma un filo consistente con una goccia, o perla, alla punta. Dovrebbero essere sufficienti circa tre minuti di ebollizione.
A fuoco spento, unire allo sciroppo le mandorle, il sale e la cannella.
Far intiepidire. Nel frattempo, amalgamare tra loro le uova e i tuorli senza montarli. Quando lo sciroppo con le mandorle è tiepido, unirvi la mistura di uova e tuorli facendola scendere attraverso un setaccio. Mescolare accuratamente e mettere il tutto su fuoco molto dolce; mescolando di continuo, far addensare il composto fino a che diventi ben consistente, come una crema spessa.
Togliere dal fuoco, versare in uno stampo da 25 cm con il fondo rimovibile, imburrato e infarinato, e cuocere in forno preriscaldato a 150° per circa 35 minuti. Deve formarsi una leggera crosticina ma l’interno, alla prova stecchino, deve risultare leggermente umido.
Lasciar raffreddare, sformare e spolverizzare con zucchero a velo. E’ migliore se consumato il giorno stesso. In seguito tenderà a perdere l’umidità interna.

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Giovanna Esposito

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