Non solo Bretagna: le ostriche dei Campi Flegrei

D’accordo, i Francesi sono i re delle ostriche, ma qualcosa, riguardo alla coltivazione dei pregiati molluschi, gliel’abbiamo insegnato noi. Per la precisione a insegnarglielo sono stati i Borboni di Napoli che l’avevano imparato a loro volta dagli antichi Romani.

Nell’antichità il Lago di Lucrino, oggi un minuscolo specchio d’acqua presso Baia, nei Campi Flegrei, non era affatto minuscolo e godeva del non piccolo privilegio di essere una laguna di acqua salata separata dal mare soltanto da una sottile lingua di sabbia, sulla quale si dice passasse un tratto della Via Herculea, così chiamata perché secondo la tradizione Ercole la aveva percorsa conducendo i buoi di Gerione in una delle sua celebri fatiche. Fu là che un personaggio passato alla storia col curioso nome di Sergius Orata impiantò un fiorente allevamento di pesce e, soprattutto, di ostriche. Il cognomen, singolare, pare gli sia stato attribuito per la sua determinazione nel vantare la bontà delle orate, ovviamente allevate da lui, come racconta Macrobio; ma secondo altri gli derivò dalla sua abitudine di indossare vistosi anelli d’oro. Certo è che Orata fu uno di quei leggendari bon vivants del mondo romano devoti al lusso e dediti ai festini e alla gozzoviglia nonché uno dei più grandi ostricoltori di tutti i tempi. E ciò lo rese più ricco di quanto si possa immaginare. Dell’intraprendente Sergius racconta Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia:

“Sergio Orata fu il primo in assoluto che ideò nella sua residenza di Baia dei vivai per le ostriche, al tempo dell’oratore Licinio Crasso, prima della guerra contro i Marsi; spinto non tanto dalla gola quanto dalla sua brama di denaro, poiché sapeva trarre dal suo fertile ingegno grossi profitti (…). Lui per primo ottenne un ottimo sapore dalle ostriche del Lago Lucrino, poiché gli animali acquatici, anche se sono della stessa specie, sono migliori o peggiori a seconda del luogo in cui vengono catturati.”

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Il buon Orata, insomma, si arricchì in modo tale da diventare famoso per i suoi festini con ospiti illustri a base di ostriche, che si racconta durassero un giorno e una notte, grazie alla irrefrenabile ghiottoneria dei Romani e alla loro autentica passione per i molluschi pregiati che mangiavano sia crudi che cotti e adoravano accompagnare con il garum. Ne fa testimonianza l’epigramma di Marziale Ostrea (L’ostrica):

Ebria Baiano veni modo concha Lucrino. Nobile nunc situo lussuriosa garum. 

(Eccomi arrivata, conchiglia ebbra delle acque del Lucrino presso Baia. Ora, da amante del lusso, ho sete del prezioso garum).
Tra gli ostrica-addicted, alcuni nomi eccellenti come quello di Nerone, del quale Giovenale afferma che sapeva dire al primo assaggio se un’ostrica provenisse dal Lucrino, dal Circeo o da altri luoghi, o di Vitellio, del quale si racconta che mangiasse ostriche quattro volte al giorno, e ogni volta almeno 1200. Gli allegri crapuloni non mancavano di attirare gli strali dei moralisti, così che la divorante (è il caso di dirlo) passione per le conchiglie care a Venere divenne simbolo di dissolutezza: il solito Giovenale così si esprime nella Satira XI:

…conducta pecunia Romae
et coram dominis consumitur; inde, ubi paulum
nescio quid superest et pallet fenoris auctor,
qui vertere solum, Baias et ad ostrea currunt.

Gli scialacquatori ai quali si riferisce, ottenuto del denaro in prestito a Roma lo dilapidano sotto gli occhi dei creditori; poi, quando ne resta ben poco e il creditore impallidisce, decidono di cambiare aria e se ne vanno a mangiare le ostriche a Baia.

Sergio Orata aveva importato le ostriche da Brindisi per avviarne la coltivazione nel Lucrino, e ideato delle tecniche di coltura alcune delle quali sono tuttora utilizzate in Francia, ad esempio quella che si serviva di tegole spalmate di calce e sabbia che ospitavano il raggruppamento delle ostriche e venivano disposte sul fondo marino o su impalcature in legno, o ancora un sistema consistente nel praticare un minuscolo foro sul guscio delle ostriche ancora piccole e unirle in serti che poi venivano appesi a pali di legno infissi nell’acqua.

Il paesaggio di Baia arricchito dalle coltivazioni di ostriche era talmente tipico da apparire su souvenir dei viaggi nell’area dei Campi Flegrei: alcune fiaschette di vetro ritrovate a Populonia, Ampurias e Varsavia raffigurano vedute dal mare della costa di Baia complete di ostriaria.
populonia-bestCol tempo, il Lucrino si degradò, si ridimensionò e perse le fruttifere prerogative dalle quali pare traesse il nome (da lucrum: più esplicito di così…). Finché nella notte tra il 28 e il 29 settembre del 1538 avvenne l’eruzione vulcanica che portò alla repentina formazione del Monte Nuovo, con conseguente sparizione di buona parte dello specchio d’acqua.
Ma nel 1764 Ferdinando IV di Borbone ripristinò la coltura delle ostriche, stavolta nel vicino lago Fusaro, che Carlo III aveva acquistato nel 1752 dalla Real Casa dell’Annunziata per farne una riserva di caccia e pesca. Furono avviate bonifiche e opere tese a bilanciare il rapporto tra acqua dolce e salata nel lago e a favorire il ricambio delle acque, e create strutture per la coltura. Le descrive bene Maurice Coste, che Arnould Locard nel suo “Manuel pratique d’ostréiculture” definisce sapiente naturalista: “Su tutta la superficie del lago si vedono di tratto in tratto degli spazi, di solito circolari, occupati da pietre che vi sono state trasportate. Queste pietre simulano delle sorte di rocce che sono state ricoperte di ostriche di Taranto, in modo da trasformare ciascuna di esse in un banco artificiale (…). Intorno a ciascuna di queste rocce artificiali, in genere di due-tre metri di diametro, sono stati piantati dei pali molto vicini l’uno all’altro, in modo da delimitare lo spazio entro il quale si trovano le ostriche. Questi pali affiorano leggermente dall’acqua, così che si possa facilmente afferrarli e sollevarli quando è necessario.”
Altri pali disposti in file sostenevano delle corde (chiamate “libani”) alle quali si appendevano dei “fagotti” di legno in cui si annidavano le uova.
A quei tempi il Fusaro, con la splendida Casina Vanvitelliana voluta da Ferdinando IV e costruita nel 1782 e la villa di fronte ad essa chiamata, non a caso, l’Ostrichina, doveva essere uno spettacolo incantevole: il Coste lo visitò  tra il 1853 e il 1854, inviato in missione dal governo francese per studiare i fiorenti allevamenti di ostriche dei Borboni; annotò, imparò, rifletté e decise che quelle tecniche, in buona parte ereditate dagli antichi Romani, andavano applicate anche lungo le coste  atlantiche del suo paese. Cosa che avvenne, con un successo i cui effetti si vedono ancora oggi.
Insomma, i Francesi hanno imparato dai Romani e dai Borboni e hanno fatto tesoro di quanto appreso. E i Campi Flegrei? Oggi Baia ospita uno dei maggiori stabilimenti nazionali di depurazione dei molluschi: l’IRSVEM. Ma l’allevamento delle cozze ha soppiantato quello delle ostriche: i buongustai facoltosi si rivolgono alla Francia, spesso inconsapevoli di quanto i cugini d’Oltralpe debbano a noi e ai nostri antenati.

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Giovanna Esposito

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