Pane nostro

La saga del pane. Il canto del pane. Racconto di ciò che il pane è stato ed è nella cultura non solo materiale dell’umanità. Non saprei come altrimenti definire il fluviale eppure contenuto (nella mole) saggio di Predrag Matvejević dal titolo “Pane nostro”.

Se non esplora ogni tempo e ogni luogo alla ricerca minuziosa di ogni invisibile traccia di farina, ci va vicino, affastellando in circa 200 pagine migliaia di informazioni che però, nel tono lirico e con la passione di Matvejević, da informazioni trasfigurano in qualcosa di sospeso tra la poesia e il mito.
Un catalogo sterminato di riferimenti al pane sparsi nei testi più antichi del mondo, nell’iconografia, nelle credenze. Dall’antica Mesopotamia, la “mezzaluna fertile”, all’Egitto dei faraoni e della schiavitù ebraica, dalla Grecia e dalla Magna Grecia a Roma, dall’Ebraismo al paganesimo e al Cristianesimo e all’Islamismo, attraversiamo le epifanie del pane, mai solo cibo ma fondamento e simbolo, al punto da entrare nelle liturgie. Pane dell’eucaristia, pane azzimo della Pesach. E le dee della fertilità e delle messi. Demetra, Cerere, Freya.
Pane della festa e della fame, dei banchetti e dei simposi, dei riti, dei misteri.

Nel capitolo più affascinante, “Le sette croste”, il viaggio ci conduce tra santi, anacoreti, monaci, pellegrini di tutte le fedi (alla Mecca, a Santiago de Compostela, a Gerusalemme, a Tebe, a Delfi…), per poi farci incontrare viaggiatori ed esploratori, i marinai con i loro biscotti di grano, e poi i rom, i carcerati, i mendicanti; una sorta di rassegna dell’umanità di ogni epoca e paese nel suo rapporto con il pane.
E ci inonda, Matvejević, con centinaia di nomi del pane, dei tipi di pane, delle forme del pane, in ogni lingua viva e morta. Perché, per citare il Pitagora di Diogene Laerzio, “L’universo comincia con il pane”, ma anche per ragioni più dolorose e personali, quelle che nel capitolo conclusivo Matvejević ci rivela in una successione di episodi in cui il pane, desiderato, lesinato, è anche simbolo, per assenza, dell’orrore e della cruda violenza del ‘900.
“L’uomo che preparò il pane”, scrive nelle prime pagine, “era diverso dai suoi antenati. Si era affacciato alla soglia della storia”.
E da allora il pane è mutato pur restando immutabile. La brutalità della storia no.

Predrag Matvejević – Pane nostro – Garzanti

         

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Giovanna Esposito

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