Ricordi di strutto

Strutto. Sugna. ‘Nzogna. Basta la parola, e c’è chi subito si spaventa. Bandito dalla tavola e dai fornelli per le moderne tendenze salutistiche, demonizzato, ostracizzato.

A tratti rivalutato non solo per il quid che aggiunge ai piatti ma anche per il suo alto punto di fumo che lo rende adatto alla frittura, è grasso animale e grasso saturo, dunque indifendibile. Come sempre, però, basta non abusarne; usarlo una volta ogni tanto non ammazzerà nessuno.
Grasso da poveri. Grasso da dopoguerra, antidoto al terrore della fame, retaggio di un’epoca in cui le calorie ingerite non erano un nemico da arginare ma un obiettivo da raggiungere, era un tempo ingrediente imprescindibile di alcune cucine della penisola, come l’emiliana e la napoletana, e aveva un posto d’onore persino nelle ricette del De agricultura di Marco Porcio Catone, meglio noto come Catone il censore.
Per me ogni ricordo di cucina dell’infanzia passa dalla sugna, da mia nonna che ne fa scivolare una cucchiaiata nel ragù, che ci impasta il tortano, che ci arricchisce la genovese, che, talvolta, lo usa per friggere vere e proprie armi caloriche. La ricordo mentre prende il cozzetto del pane, precisamente del palatone… Il cozzetto, sì: come si chiamerà nel resto d’Italia la parte terminale, appuntita, di un filone di pane? Quella più croccante e ambita? Prende il cozzetto, dicevo; lo svuota della mollica, lo farcisce con fagioli lessati e conditi con aglio e olio, oppure con due uova solo sgusciate, o ancora con i friarielli, poi lo tappa con la mollica, lo passa nella farina e nell’uovo e lo frigge nella ‘nzogna. Una cena ricchissima e contadina sufficiente a scacciare lo spettro del deperimento che, per la verità, da mia nonna si teneva ben lontano.
La sugna era la regina della cucina, quando a dirigerla era lei. Olio d’oliva, sì, se ne usava tanto. Burro invece assai di rado: quella materia forestiera si utilizzava solo per qualche torta, per il purè di patate e per preparare la besciamella per i “maccheroni a grattè”. Grattè stava per gratin. E “maccheroni” per qualsiasi formato di pasta. La parola “pasta” ha avuto accesso in casa mia solo nei tempi moderni, cioè dopo la scomparsa dei miei nonni e, con loro, di un mondo fatto di tiretti anziché di cassetti, di buatte anziché di lattine, e di ‘nzogna. tanta ‘nzogna.
Come ogni alimento che sia o sia stato profondamente radicato nella cultura popolare, la sugna è protagonista di proverbi e modi di dire.
Per ricordarne solo alcuni: ‘O ppoco ‘e ‘nzogna se squaglia p’a via (“quel poco di sugna si scioglie per strada”, cioé il magro guadagno viene speso rapidamente); Essere ditto tortano senza ‘nzogna (“essere chiamato tortano senza contenere sugna”, acquistare una cattiva reputazione perché accusato falsamente di colpe non proprie); P’avé ‘na bbona ‘nzogna, s’à dda ‘ngrassà ‘o puorco (“per avere una sugna buona, bisogna ingrassare bene il maiale”, non si ottengono buoni risultati se le premesse non sono buone); Nun fa nè lardo e nè ‘nzogna, e manco l’osse pe’ ‘e cane (“non se ne ricavano né lardo, né sugna e nemmeno ossa da dare ai cani”: è inutile, improduttivo, non serve a nulla); Se ne scenne ‘nzogna ‘nzogna (deperisce, si scioglie a poco a poco come la sugna).
Buona, la ‘nzogna. Eppure mi faceva orrore entrare con i miei genitori al “Suino d’oro”, una macelleria del Vomero rinomata per le carni di maiale, e vederla pendere dal soffitto dentro vesciche giallastre, screziate. E aspettare il turno, a lungo, sotto le decine di bolle rigonfie. Le vesciche, già. Vaschette? Ma quando mai. Vesciche, ed erano già un’evoluzione perché, di norma, lo strutto si produceva in casa: si prendeva del grasso di maiale senza cotenna e lo si metteva a sciogliere, piano piano, con alloro, sale e un po’ d’acqua. E così si “squagliava la ‘nzogna“, e le parti solide che restavano dopo aver filtrato e schiacciato in un colino erano i cicoli, o ciccioli.
Sospetto che la sugna sia il segreto del famoso “saltimbocca” dell’Oasi, una sorta di panino infornato fatto con pasta da pizza e farcito con prosciutto e fiordilatte che crea traffico e code sulla Costiera Sorrentina, e ritengo che fosse anche, un tempo (oggi non so), il segreto della pizza a metro di Gigino a Vico Equense: si vocifera che ci sia chi ne ha vista spalmare una cucchiaiata sulla superficie della pasta prima di infornarla. Certo che a me sembrava di avvertirlo, in quella pizza, il gusto-canaglia della sugna.
Ha tanti impieghi gustosi, lo strutto. Dal casatiello alla sfogliatella riccia ai taralli sugna e pepe, dallo gnocco fritto alle tigelle alla piadina, per citare quelli più tradizionali. E la pasta frolla con lo strutto? Speciale. Friabilissima. Se non l’avete mai assaggiata avete perso qualcosa che merita.
Ma, soprattutto, se non avete mai provato le patatine fritte nella ‘nzogna la vita non vi ha mai sorriso a dovere.

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Giovanna Esposito

1 Commento Aggiungi un commento

  • Ti dico solo che tutto ciò che hai scritto è vero. A “Nsugna” è qualche cosa da far assaggiare almeno una volta nella vita a quelle persone che per loro sfortuna non sanno di cosa stiamo parlando.. Ciao!

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