Rosanjin, l’esteta dei sapori

La raffinatezza e l’eleganza della cucina giapponese, che ci sono ben note, si sono costruite evidentemente nel corso del tempo, ma un punto di svolta nella loro evoluzione è stata l’opera di Rosanjin, alias Fusajirō Kitaōji. Considerato da molti colui che ha rivoluzionato la gastronomia giapponese, da altri addirittura il suo inventore, Rosanjin, vissuto dal 1883 al 1959, fu figura controversa e discussa, venerata dai più, criticata da altri per la  personalità difficile, complessa e talvolta giudicata arrogante. 
Uomo dai molteplici talenti, pittore, poeta, calligrafo, ceramista e cuoco, fu soprattutto un esteta che, per sua stessa dichiarazione, aveva come scopo quello di rendere il mondo più bello, fosse anche solo di un’inezia. Vaste programme, prendendo in prestito una celebre battuta di De Gaulle, che Rosanjin cercò di mettere in atto avendo sempre al centro dei propri interessi la tavola, concepita come opera d’arte, esperienza globale e a volte vera e propria rappresentazione, ma mai disgiungendo l’apparenza dai sapori.

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Fu nell’aprile del 1921 che Rosanjin pose definitivamente la cucina nel punto focale della propria opera multiforme, aprendo il leggendario Bi-shoku, il Club dei gourmet, a Tokyo, annesso alla galleria d’arte e antiquariato Taigado da lui inaugurata nel 1919. In seguito, nel 1925, aprì sempre a Tokyo il ristorante gastronomico Hoshigaoka-saryo.
Di lui si dice che abbia conferito un senso nuovo alla parola Bi-shoku (“estetica del mangiare”), dandole attuazione. La bellezza doveva emanare dalla tavola in tutti i suoi aspetti, perciò dopo aver cominciato servendo le pietanze al Bi-shoku in piatti della sua collezione di ceramiche tradizionali, Rosanjin si dedicò alla realizzazione delle ceramiche di servizio in prima persona, creando pezzi ispirati ad ognuno degli stili tradizionali del Giappone, quasi in una sintesi enciclopedica della storia dell’arte dei ceramisti nipponici. Il ruolo del contenente era per lui fondamentale quanto quello del contenuto: piatti e ciotole andavano pensati in unità armonica con il cibo perché concorressero a creare bellezza, semplicità, eleganza in un costante rapporto di equilibrio con la natura: “Le persone che si accontentano di vasellame di bassa qualità non possono che produrre cibo di bassa qualità. E le persone nutrite con cibo di bassa qualità non possono che diventare persone di bassa qualità.”

IMG_7965Non era dunque solo l’appagamento dello sguardo quello che Rosanjin ricercava. Tutt’altro. L’estetica del cibo era finalizzata ad esaltare il gusto, a renderlo quasi visibile, e i sapori naturali degli alimenti andavano messi in rilievo, quasi estratti, con cotture mai aggressive e rispettando la stagionalità per preservare il legame tra cibo e natura, un legame strettissimo sempre presente nella cucina giapponese, ma che Rosanjin celebrò e rimarcò nei piatti come nelle ceramiche e nell’interezza dell’esperienza gastronomica. Per  una compiuta armonia dell’ambiente, Rosanjin concepì personalmente ogni aspetto dei propri ristoranti, dagli spazi alla decorazione della sala, dall’apparecchiatura al menù. In questa rigorosa ricerca della perfezione, Rosanjin non ammetteva distrazioni da parte degli ospiti dei suoi ristoranti, le cui percezioni e la cui attenzione dovevano concentrarsi totalmente sull’emozione gustativa e sensoriale.
La cucina, che soddisfa il desiderio più primitivo degli esseri umani usando come materia la natura, poteva a suo parere attingere il livello di una vera arte. Perciò potersi dire chef o, meglio, poter essere considerati da lui chef, era tutt’altro che facile: se chiunque, con la pratica, era in grado di imparare a preparare un buon sashimi, il vero chef era colui che comprendeva i sapori, che possedeva dunque un talento naturale impossibile da acquisire. Si racconta che Rosanjin sottoponesse a uno speciale test ogni cuoco che volesse lavorare all’Hoshioka: lo invitava a cucinare nella sua casa fornendogli come ingredienti soltanto la testa e le lische di un pesce e dicendogli poi di andare a cogliere ciò che preferiva nel campo dietro la casa, peraltro priva di gas. Il cibo poteva essere preparato unicamente su una griglia a carbone. Se il cuoco veniva riconvocato per cucinare in casa una seconda volta, aveva superato il test.

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A Rosanjin e alla sua arte il Museo Guimet di Parigi ha dedicato una mostra che si è appena conclusa, esponendo ceramiche, paraventi, lacche e proiettando video di quattro grandi chef giapponesi che preparano il cibo utilizzando le ceramiche di Rosanjin come piatti di servizio e come ispirazione, seguendo il principio della connessione tra contenente e contenuto. I suoni della natura, frusciare di foglie, scrosciare dell’acqua, cinguettii, accompagnano nei video la preparazione e il servizio dei cibi, ricreando l’esperienza globale di armonia e bellezza intorno alla tavola tanto centrale nella visione di Rosanjin, che la ricercò per tutta la vita.

Apri gli occhi alle arti antiche di duecento anni fa, di trecento anni fa, guarda le opere che risalgono a cinquecento anni addietro, a mille, a duemila anni fa o ancora più in là nel tempo. Sii attento al modo in cui gli umani di quelle epoche hanno visto la natura che riempie il cielo e la terra, e contempla la semplice bellezza, conforme alla legge della natura, che ci hanno lasciato“.

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Giovanna Esposito

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