Arriva dal Messico la tequila con la sua dubbia fama di superalcolico da festa sfrenata: una leccatina al sale, un bicchierino buttato giù senza pensare e un morso ad uno spicchio di lime. Ma la tequila sta rivendicando un posto tra i liquore di prestigio.
Alcuni alcolici sono così inseparabili dal contesto dei loro cocktail usuali da non essere associati alla degustazione pura. Pensiamo al gin senza tonica, o al rum bianco senza gli estivissimi ingredienti del mojito. Anche la margarita è una stella dei drink estivi, ma la tequila ha molto più da offrire che non essere il semplice sostegno alcolico agli ingredienti di qualche cocktail. Ci sono infatti delle tequilas raffinate e artigianali che si possono gustare da sole.
Sta arrivando una nuova generazione di tequilas realizzate con metodi tradizionali e stili unici, che incarnano ed esprimono il loro terroir e stimolano gli appassionati a degustarle da sole per apprezzarne le sfumature. È quello che è successo una ventina o trentina di anni fa nel mondo del whisky scozzese, del bourbon del Kentucky, ma anche alle grappe italiane che subirono un forte processo di svecchiamento. Ora tocca al Messico e alla tequila.
Cos’è la tequila
Per millenni nella parte centrale del Messico si è prodotta una bevanda fermentata a base di agave conosciuta come pulque. La tequila, tuttavia, è un distillato molto più recente. È una varietà di mescal, che cominciò ad essere molto popolare all’inizio del XVI secolo, durante la conquista spagnola. Con mezcal si intende un qualsiasi alcolico derivato dall’agave (tra cui tequila, raicilla e bacanora), anche se è spesso usato per descrivere gli alcolici derivati dall’agave del Messico meridionale, vicino a Oaxaca.
La tequila si distingue dagli altri mezcal in quanto è prodotta solo con la varietà cosiddetta blu dell’agave (Weber azul – Weber blu, dal botanico francese che l’ha classificata), una pianta desertica delle succulente che può crescere fino a due metri di altezza e larghezza.
L’appellativo tequila può essere dato solo agli alcolici prodotti in zone del Messico specificatamente designate, la maggior parte delle quali si trovano nelle immediate vicinanze della città di Santiago de Tequila, a nord-ovest di Guadalajara.
Il liquore attuale fu sviluppato qui nel 1795 dal fondatore della distilleria Jose Cuervo, Don José Antonio de Cuervo, che venne commercializzato solo dal 1880.
La tequila fine porta in etichetta la dicitura 100% agave, 100% puro de agave o simili. L’indicazione mixto o abocado sta ad indicare l’aggiunta di dolcificanti o agenti coloranti; questi possono essere ottimi quando si vuole usare la tequila nei cocktail, ma non per sorseggiare da sola.
Sebbene più dell’80% di questo alcolico sia prodotto a nord-ovest di Guadalajara, nella regione costiera di Jalisco, lo si può produrre anche nelle regioni del Tamaulipas, Guanajuato, Nayarit e Michoacán e poi in nessun’altra parte del mondo. La Norma Oficial Mexicana (NOM) a quattro cifre dei produttori autorizzati deve apparire sull’etichetta anteriore o posteriore di ogni bottiglia.
Come si fa la tequila
La tequila la si ricavata tagliando le foglie appuntite o pencas dal nucleo della pianta di agave blu, chiamato cabeza (testa) o piña (per la sua somiglianza con un ananas), che può pesare 50 kg e più. Queste cuori della pianta vengono cotti nei forni a legna e poi schiacciati, tradizionalmente da una ruota di pietra chiamata tahona. Quindi se ne fa fermentare il liquido, a volte insieme a fibre di agave residue, dette bagazo. Il mosto fermentato dell’agave viene successivamente distillato in tequila. Le origini e i significati della lingua spagnola dei nomi di alcuni noti marchi (vedi sotto) rivelano la storia e il processo alla base della tequila. Alcuni di essi sono prodotti in Messico da case tradizionali da centinaia di anni.
Stili e invecchiamento
Come il whisky, il rum e la grappa, una parte di tequila invecchia in botti di legno, assumendo così colori che vanno dall’oro pallido all’ambra intenso e sapori che vanno dalla vaniglia e caramello al fumo e cuoio.
Nel clima caldo del Messico, l’invecchiamento può essere inferiore a un anno (riposato), fino a tre anni (añejo, o invecchiato) o più (extra-añejo). Blanco (bianco) e plata (argento) non sono invecchiati, ma il colore non è sempre un segno di invecchiamento: la tequila schiarita è una miscela di tequilas aromatiche invecchiate e filtrate per rimuovere il colore.
Un po’ come a quanto avviene per il whisky scozzese, le tequilas degli altopiani e quelle di pianura, due regioni chiave nello Jalisco, spesso hanno sapori caratteristici: la bassa valle di Amatitán produce una tequila dai delicati sentori di vaniglia, caramello e pepe bianco, mentre gli altopiani di Los Altos producono alcolici più floreali e fruttati.
Come degustare la tequila
Provate a bere una tequila di qualità da sola, a temperatura ambiente, senza ghiaccio, acqua o altre aggiunte. Ciò consente agli alcoli di esprimere il vero carattere delle loro origini.
L’esame olfattivo della tequila è simile a quello del vino: la si fa roteare leggermente nel bicchiere tenendolo poi ad alcuni centimetri dal naso e aspirandone piano il profumo. Ciò permette di individuare aromi che vanno dagli agrumi e piante erbacee (tequila non invecchiata) alle varie spezie e al fumo (varietà invecchiate). Anche annusare l’odore del bicchiere vuoto permette di rilevare note sottili.
Il grado di aroma fresco e floreale, specialmente nella tequila giovane, è chiamato “intensità dell’agave”. La tequila invecchiata di alta qualità non deve avere odore di muffa o eccessivamente medicinale.
Per degustare, si prende un piccolo sorso per abituare il palato, facendo roteare la tequila in bocca. Sarà molto piccante e speziato: questo è il tipico raspa, o finitura. Si prende un secondo sorso, notando la ricchezza, la setosità e la morbidezza tipica delle tequilas di agave al 100%. Dopo aver deglutito, notare i sapori che persistono.
Il mito del vermeio
Una larva del bruco dell’agave, detta gusano, viene a volte aggiunto per dare extra gusto ai mezcal prodotti nella zona di Oaxaca: è conservato nella bottiglia, letteralmente come “prova” di uno spirito dell’alcool.
Alcuni nomi
Sauza: cognome di Don Cenobio Sauza, che fondò una prima distilleria di tequila nel XIX secolo, ed è conosciuto come il padre della tequila.
Tromba: nome dei temporali che bagnano gli altipiani di Jalisco.
Los Arango: Doroteo Arango era il vero nome dell’eroe rivoluzionario messicano Pancho Villa.
Hornitos: forni a vapore, tradizionalmente fatti di terra o tumuli di lava, per cucinare l’agave.
Jose Cuervo: José Antonio de Cuero y Valdés nel 1795 ha ricevuto la prima licenza ufficiale dal re Fernando VI per produrre tequila.
Cazadores: spagnolo per “cacciatori”; il logo del cervo sull’etichetta di questa distilleria rappresenta il cervo che vagava tradizionalmente sui campi di agave della casa.
Don Julio: Don Julio González Frausto Estrada è stato un produttore di tequila del XX secolo che ha iniziato, da adolescente, a perfezionare alcune tecniche artigianali moderne.
El Jimador: un contadino che raccoglie piante di agave.
Margarita all’arancia rossa
Creata nel 2000 dal barista australiano Ben Davidson
45 ml tequila
22,5 ml di De Kuyper Triple Sec
7,5 ml di Campari Bitter
22,5 ml di succo di arancia rossa
22,5 ml di succo di lime appena spremuto
7,5 ml di sciroppo di zucchero (2 parti di zucchero in 1 parte di acqua)
Shakerare tutti gli ingredienti con ghiaccio e filtrare in un tumbler ghiacciato. Guarnire metà del bordo del bicchiere con sale e l’altra metà con una spessa fetta di arancia rossa.