Un brodetto di pesce molto antico: il boreto a la graisana

Nel passato, nell’Alto Adriatico l’alimentazione dei marinai e dei pescatori durante la navigazione era costituita principalmente dal pane bis-cotto (pane biscotto a lunga conservazione, secco, in forma di ciambelle, bossolato, bizulà) e, come companatico, carni e pesci salati conservati il cui consumo avveniva aggiungendo olio e aceto al pesce accompagnandolo al biscotto ammollato. A ciò si poteva aggiungere una minestra preparata con legumi secchi o anche un pietanza calda, il brodetto.

Il brodetto, o broéto o ancora boreto, pietanza di veloce cottura, rappresentava spesso un modo di recuperare il pesce di scarso apprezzamento commerciale ed era l’unica alternativa all’arrostirlo sulla griglia. Per insaporirlo si aggiungevano i profumi di casa: aglio, rosmarino, cipolla, qualche foglia di alloro, sale e pepe. La preparazione era simile per tutto l’arco dell’Alto Adriatico, dal delta del Po a Chioggia, Caorle, Marano, Grado, Muggia e all’Istria. Le varianti erano costituita da ciò che le reti tiravano a bordo quel giorno e che non finiva nelle cassette del pescato da reddito. Era comunque diverso dal piatto preparato nelle trattorie o in casa, dove si disponeva di focolare o di strumenti di cottura meno primitivi rispetto al braciere a carbonella e lo si poteva preparare con ingredienti più ricercati, in versione zuppa di pesce (un classico la buzara istriano-dalmata e simili), accompagnandolo anche da pane biscotto oppure con polenta.

La ricerca sulle ricette regionali dei brodetti di pesce mette in luce, pur nella condivisione degli ingredienti principali, cioè pesci, e di alcuni condimenti base, olio, cipolla, aglio, più sottili caratterizzazioni in virtù di interventi combinatori con altre sostanze vegetali, di procedimenti di cottura particolari e di apporti culturali di natura religiosa quali scelte cromatiche, simboliche (ad esempio le tredici qualità di pesce, Cristo e gli Apostoli, dei brodetti di Pesaro o Ancona), o l’aggiunta di aromi particolari.

La cucina latina non lo conosceva e il termine broeto nella dizione veneta è un termine derivato dal latino medievale e, secondo Maria Lucia De Nicolò dell’Università di Bologna, l’etimo sembrerebbe derivare da broth, massa fangosa. A Rimini è documentato già nel 1256 (brudettus) a significare intingolo, guazzetto di pesce.

Uno dei brodetti più semplici ma molto particolare è quello di Grado.
L’isola di Grado, che sembra “galleggiare” nella sua laguna, ha una popolazione con origini molto antiche e legate alla città romana di Aquileia, fondata nel 181 a.C..
Il nome Grado deriva dal latino Gradus, cioè scalo, porto, e l’isola è favorita dal provvidenziale alternarsi del vento di bora, da nord est e dallo scirocco da sud est. La possibilità di orientare la navigazione nei due sensi, grazie ai due venti, favorì lo sviluppo dei collegamenti che le navi romane mantenevano con le legioni di stanza ad Aquileia.

Scarse sono le notizie documentali sulle abitudini alimentari più antiche dei gradesi. Se le ricette delle classi nobili della regione e dei Patriarchi di Grado ci sono note attraverso il De arte coquinaria del Maestro Martino de Rossi da Como, maestro di cucina del Patriarca di Aquileia Ludovico Trevisan (ci sono comunque dubbi sulla sua effettiva presenza in Friuli e quindi anche di quella del suo cuoco), delle ricette della classe povera, dei pescatori che abitavano nei casùni della laguna, non vi è traccia documentale, ma certamente è rimasta inalterata per secoli e così ci è stata tramandata per tradizione orale.

Emblema di una vita fatta di mare e di pesca, nell’incantevole scenario della laguna, il boréto a la graisana è una pietanza unica per la semplicità degli ingredienti e della preparazione, creata in origine dai pescatori della laguna e tramandata di generazione in generazione. Ogni famiglia custodisce una propria speciale variante della ricetta, così come oggi ogni ristorante propone la propria interpretazione di questo piatto fondamentale per la storia della gastronomica di Grado. Tutte le ricette tuttavia hanno in comune il metodo di cottura che caratterizza questo piatto e cioè la bruciatura degli spicchi d’aglio in olio e l’aggiunta di acqua per la cottura. Il boréto veniva cucinato in una pentola, il cosiddetto lavèso, originariamente costituito da un recipiente in pietra, sostituito poi da un contenitore in terracotta in rete di filo di ferro e infine da una casseruola di ferro, che non veniva mai lavata.
Il lavèso, che permetteva di far bollire l’intingolo finché il sugo non giungeva a giusta densità, può essere sostituito oggi da una pentola in ghisa o in alluminio pesante.

La laguna di Grado è costituita da molte isole e valli di pesca. Un tempo molti gradesi vivevano stabilmente nelle isole (mote) della laguna in rifugi detti casuni, tipiche abitazioni con un tetto conico di paglia e canne lacustri. I casuni erano fatti con un’intelaiatura di legno ricoperta di canna di fiume, tagliata a mano, seccata e annodata; non avevano aperture verso nord, per difendersi dal freddo, e la porta era a sud. Nel 1900 a Grado gli abitanti censiti erano 3.600; di questi, ben 1.300 vivevano, suddivisi in 250 nuclei familiari, nelle 200 mote della laguna.

La pesca e, di conseguenza il pesce, era la fonte principale del sostentamento dei pescatori, i cosiddetti casoneri. Il pesce di scarto, ma comunque freschissimo, che non poteva essere venduto al mercato, veniva utilizzato dalle massaie che dovevano ingegnarsi per cucinarlo con gli altri ingredienti a disposizione. È difficile dire se questa ricetta, che non è una zuppa di pesce, possa essere annoverata fra i primi piatti o i secondi, perché nella famiglie gradesi viene spesso servita come piatto unico. L’attaccamento a questa ricetta da parte della gente di laguna, interpretabile forse quasi come la rivendicazione di una paternità molto remota, è denunciato dal fatto che per secoli il boreto si è mantenuto pressoché inalterato: la sua semplicità originaria si è infatti tramandata senza cedere alle lusinghe del pomodoro, come invece avvenuto per non pochi caciucchi del mediterraneo. Per questo, con molto orgoglio, i gradesi dicono che il loro boréto vanta origini antecedenti alla scoperta dell’America e del conseguente arrivo del pomodoro.

La preparazione è molto semplice: il pesce misto (cefali, rombi, anguille o altre varietà) viene sviscerato, pulito, lavato, asciugato e tagliato in tranci. In una pentola con dell’olio di semi (non d’oliva perché di gusto troppo importante e forse perché l’olio leggero di semi è più facilmente emulsionabile con l’acqua) si soffriggono degli spicchi d’aglio che sono levati solo quando sono letteralmente carbonizzati. A questo punto i tranci di pesce sono aggiunti all’olio fumante; si aggiunge il sale e pepe nero in veramente grande abbondanza. Se il tipo di pesce lo prevede, si aggiunge un bicchiere d’aceto, si fa sfumare e si copre d’acqua, lasciando cuocere fino ad ottenere un intingolo denso, senza assolutamente aggiungere farina! L’accompagnamento è con polenta rigorosamente bianca ed il vino è un rosso, merlot, refosco o perfino cabernet.

Il boréto più rappresentativo, e anche più moderno e raffinato, è forse quello di solo rombo chiodato locale. Nel marzo 2006 la Delegazione di Gorizia dell’Accademia Italiana della Cucina, con atto notarile, ha depositato presso la Camera di Commercio Industria ed Artigianato e presso il Comune di Grado, la ricetta classica del Boréto de rombo a la graisana, dichiarandola “specialità tradizionale garantita”.
Vi consiglio di provarlo perché il boréto a la graisana è molto diverso dagli altri brodetti e zuppe di pesce che si preparano in Italia.
A Grado dicono, nella loro bella parlata locale, che solo in questo caso non dovrebbe aver bisogno di traduzione:
Fà al boreto ze un’arte … e l’arte ze de i artisti, e artisti no se deventa, se nasse.

Per un approfondimento sui vari brodetti di pesce dal delta del Po all’Istria consiglio gli Atti del Convegno dell’Accademia Italiana della Cucina “Brodetti, broéti e boreti” (edizioni Forum, Udine 2014) e la bella e documentata ricerca sul boreto di Grado fatta dall’accademico gradese Fiorenzo Facchinetti e da cui ho anche attinto per questo articolo.

Borèto de rombo a la graìsana
Ricetta depositata con atto notarile l’11 marzo 2006

Ingredienti per 4 persone:
1,3 kg di  rombo (indicativamente)
3 o 4 spicchi d’aglio
1 dl di olio di semi
Sale grosso q.b.
Pepe nero macinato grosso q.b.
Aceto di vino bianco 1/8 lt circa
Acqua 1/4 di litro circa

Pulire il rombo, levare le branchie, tagliarlo a tranci conservando la testa, lavarlo ed asciugarlo. Mettere in una casseruola l’olio di semi e gli spicchi d’aglio interi. Portare a temperatura facendo annerire l’aglio. Tolto l’aglio carbonizzato, adagiare i tranci e la testa e farli rosolare da ambo le parti toccando i tranci il meno possibile per evitarne la rottura. Salare, pepare abbondantemente con pepe macinato grosso e bagnare il tutto con l’aceto di vino bianco. Evaporato l’aceto, coprire il pesce con l’acqua calda e cucinare fino a restringere l’intingolo. A seconda della grandezza del pesce, il tempo di cottura varia dai 25 ai 35 minuti, più o meno lo stesso tempo che serve per fare la polenta; a fine cottura, non deve rimanere più di 1 cucchiaio, 1 cucchiaio e mezzo, di sugo a testa e per essere perfetto dovrà risultare appiccicaticcio.

Classico è il boréto de bisàto, anguilla, o quello fatto con un misto di pesci dove però la presenza dell’anguilla garantisce la giusta e speciale densità del sugo.

Con lo stesso metodo si posso fare boreti de canoce (cannocchia-pannocchia di mare), ottimo anche per condire delle linguine o spaghetti, boreti de basi (vongole), boreti de cape lunghe (canolicchi), boreti de masanete (granchi quando fanno la muta e perdono la corazza) e boreto de sepe (seppie). In questi casi in genere non si aggiunge aceto, talvolta una spruzzata di vino bianco, e data l’assenza della pelle grassa dei pesci che aiuta nel creare la cremosità del sugo, si aggiunge un po’ di pan grattato o di farina per garantire la giusta consistenza dell’intingolo.

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Roberto Zottar

5 Commenti Aggiungi un commento

  • Decisamente fantastico divino ..poetico e ricco di amore e passione x la terra friulana è un ottimo piatto anzi a dir eccellente .Spero venire ad assaporare presto il gusto della vostra tradizione !!Appassionatamente un pugliese in Veneto ?.

  • Ringrazio vivamente Roberto Zottar per questa illustrazione eccellente della storia della cucina di Grado, e per aver spiegato, con dovizia di particolari, gli squisiti “Boreti “( Brodetti).
    E’ stato fin troppo buono nell’includere tutto l’Adriatico del Nord, compresa l’Istria, nella capacità di creare Boreti. Conosco molto bene , da Triestino, i posti citati, ma ritengo che Grado sia unica per qualità delle ricette ed esecuzione dei piatti di” Boreto”.
    Amo molto quello di Grado, quello di seppie , di capelonghe e quelo di rombo. Faccio spesso, da un po di anni, quello di seppie e quello di capelonghe , con le ricette identiche a quelle indicate, e sono squisiti. Provare per credere !! ( Si stenta a credere che bisogna bruciare l’aglio, ma va fatto…)
    Grazie Roberto. Bellissimo ed utile articolo !!
    Alberto

  • Piatto mitico, con l’unicità e l’orrore dell’aglio carbonizzato, che assieme agli altri brodetti con tantissime varianti di tutte le nostre coste fanno grandissima la cucina di mare italiana.

  • Bravo Roby,
    è sempre un piacere leggere i tuoi articoli super esaustivi, ricchi di curiosità e novità ma soprattutto di passione!!!
    Rimani il più bravo della classe!!!

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