Vinitaly 2019: i nostri migliori assaggi [parte prima]

Il Vinitaly 2019 lo ricorderemo perché sta finalmente tornando ad essere una fiera del vino per professionisti. Il motivo? Secondo i numeri snocciolati dall’ufficio stampa di Veronafiere la qualità e il numero dei buyer esteri accreditati ha registrato un +3% rispetto all’anno precedente, per un totale di 33 mila presenze, provenienti in primis da quei 5 mercati a cui il vino italiano strizza l’occhio (nell’ordine Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Cina e Canada). Ma per il vero professionista c’è il fatto che finalmente anche di domenica si può riuscir ad incontrare produttori e scoprire nuove etichette senza il terzo incomodo della compagnia dei beoni!

Si parte dalla collina del Montello, conosciuta principalmente dagli appassionati di ciclismo e per la strettissima vicinanza alle due DOCG del prosecco superiore (Asolo e Vadobbiadene) e meno per i suoi vini rossi. Proprio qui nel 2000 Ermenegildo Giusti, imprenditore canadese originario dell’area, partendo da soli due ettari ha sviluppato un progetto di valorizzazione del territorio anche tramite il recupero dell’antica Abbazia di Sant’Eustachio (1062), dove nel XVI secolo Monsignor Della Casa scrisse Il Galateo.
Tra le etichette della Giusti Wine segnaliamo Augusto Recantina DOC Montello 2016, un vino da un’antica varietà autoctona a rischio di estinzione presente esclusivamente in zona, color rubino impenetrabile e brillante, dal naso avvolgente di frutti rossi leggermente sottospirito. Bocca vibrante e tannino che non gioca a nascondino. Umberto I 2011 Rosso del Veneto IGT è il Bordolese del Montello, vino icona della cantina, matura in barrique per 30 mesi. Regala erbe aromatiche e sentori di carruba al naso, morbidissimo al palato.

Librandi e la DOC Cirò, un impegno lungo 60 anni, conosce a menadito quasi tutto il territorio, collaborando con i migliori viticoltori locali ed effettuando un lavoro di selezione massale prima e clonale poi, oltre che con un programma di ricerca dei migliori portinnesti da utilizzare. Questa è la linea “Segno”, tre nuove etichette firmate Librandi, pensate come omaggio alla DOC Cirò rosso, rosato e bianco, da una famiglia animata da sempre dal profondo desiderio di diffondere la conoscenza del patrimonio vitivinicolo calabrese. Nel Cirò Segno Bianco 2018, l’aromaticità e il floreale del Greco Bianco si sposano con la sapidità del mare; Cirò Segno Rosato 2018, la cui struttura beneficia dell’allevamento in parte ancora ad alberello, ed infine il Cirò Segno Rosso Classico 2018, il “Principe Nero” in purezza (così viene chiamato il Gaglioppo nel Cirotano) interpretato per un consumo quotidiano: pulito, lineare e piacevole al tempo stesso ma che conserva tipicità e territorialità.

Che il mercato Italia sia interessante e forse in ripresa lo dimostra anche l’esordio di Les Grands Chais de France a Vinitaly, primo esportatore francese di vino che è al tempo stesso viticultore e produttore. Si è avuta la possibilità di spaziare sulla produzione vinicola di 4 regioni francesi come Provenza, Alsazia, Borgogna e il Bordolese, oltre ai vini di produttori francesi distribuiti dalla proprietà stessa. Tra i loro assaggi spiccano il Crémant de Bourgogne 2016 e Meursault 2017 di Chartron et Frébuchet: il primo uno champenoise da Pinot Nero fruttato ma non troppo, il secondo, un classico borgognone della Côte de Beaune dalla notevole persistenza. Si continua con il Volnay 1° Cru Les Santenots 2014 del Domaine Marguerite Carillon, elegante, dai tannini fini, dove senti la ricchezza e complessità del terroir. La chiusura è affidata ai sapori fruttati e ampi del Grand Cru Saint Emilion 2016 di Château Cantin, 80% Merlot e parti uguali di Cabernet Sauvignon e Franc, 12 i mesi di affinamento in rovere.


I “Maremmani” di Monteverro non devono solo al loro iconico e omonimo taglio bordolese la rapidissima scalata alle vette più alte dell’enologia mondiale, ma anche al loro Chardonnay e non è il solito superbananone da terre calde. Qui a Capalbio si è fatto di tutto per produrne uno molto più fresco, minerale e sapido ma cha mantenesse l’eleganza, verticalità e lunghezza gustativa più tipiche di Meursault. A differenza degli altri vigneti che guardano il mare, i filari di Chardonnay (2,5 ettari) sono orientati da est a ovest e le viti hanno una maggiore distanza dal suolo. Nel confronto 2015 vs. 2016 (in uscita l’anno prossimo), per noi di Giemme non c’è stata storia, per anni sentiremo parlare di questa 2016 come lo Chardonnay italiano più borgognone che ci sia. E senza dimenticarci del Tinata 2009, insolito assemblaggio di Syrah e Grenache riassaggiato a distanza di 3 anni. Un vino ancora in perfette condizioni, un frutto ancora adesso fresco, i sentori di erbe officinali che si mischiano alla macchia mediterranea e ad ogni sorso una scia balsamica che fa molto Rodano.

Un Oltrepò tutto da scoprire quello di Tenuta Mazzolino, un autentico clos di stile borgognone, 20 ettari di cui 13 dedicati al Pinot Nero, i cui filari si inerpicano a 360 gradi lungo la collina con pendenze dal 40% al 70% a formare un corpo vitato unico senza soluzione di continuità. A Vinitaly la presentazione del Noir 2015 è stata anche l’occasione per festeggiare i 30 anni dalla prima uscita, che è prodotta sempre dalla stessa Vigna Regina, un cru di soli 2,5 ettari di cloni rigorosamente borgognoni. Trenta vendemmie, trenta millesimi in bottiglia ancora disponibili in azienda a raccontare il calore ed il potenziale di questo vino ed il suo legame con il territorio. Lunga fermentazione, vinificazione in vasche di piccole dimensioni con follature e rimontaggi, affinamento in barrique borgognotte da 228 litri per 12 mesi. 2015: da un annata calda, un Pinot molto corposo con tanta presa sul palato. 2014: più fine, elegante, diretto. 2003: dal frutto rotondo, sentori di erbe officinali e nota balsamica che ritroviamo al palato ancora fresca e viva. 1995: è il Pinot Nero da non dormirci la notte, gusto pieno e dotato di una compostezza d’altri tempi.

Al Vinitaly la famiglia Bonzano di Bonzano Vini è venuta anche per raccogliere i frutti di questo primo anno da viticultori, e può essere più che soddisfatta dell’anno trascorso a promuovere il territorio monferrino, attraverso la forza e la riconoscibilità dei suoi prodotti e del lavoro svolto in collaborazione con l’enologo Donato Lanati. Presentato in anteprima, il Brut Mandoletta Metodo Classico 2016, Pinot Nero e Chardonnay, 28 mesi sui lieviti (appena sboccato), è fresco, sapido e cremoso, anche se qualche grammo in meno di “liqueur” gli farebbe molto bene. Hosteria 2017 è il Monferrato Rosso DOC da Pinot Nero e Barbera: conviviale, immediato, pensato per piacere a tutti, il vino dell’amicizia che resta in mente anche grazie al suo packaging composto da una bottiglia di birra e un’etichetta dai colori vividi e disomogenei. Una Barbera autentica, schietta ma soprattutto molto esuberante è quella del Gajard 2017.

A presto la seconda parte con il resoconto di altri assaggi.

 

[Photo Credit: Antonio Cimmino; Veronafiere-ENNEVI]

 

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Antonio Cimmino

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