Le Virtù teramane

Le Virtù secondo Lucio Trojano

Le Virtù sono un piatto rituale teramano che viene tradizionalmente consumato il primo maggio. Ci sarebbero tante cose da dire sui rituali, il valore simbolico del numero sette che si ritrova nei numeri dei vari gruppi di ingredienti, i riti propiziatori primaverili per augurarsi una buona stagione agricola, ma facciamo prima se vi anticipiamo che Le Virtù di fatto sono una zuppona di verdure, legumi e carne.

È un piatto talmente tradizionale che l’associazione locale dei ristoratori ha persino elaborato un disciplinare per la sua preparazione.
Già un nome come Le Virtù (o, in alternativa, i sette peccati) promette bene se ci ricordiamo che le virtù principali delle madri di famiglia di una volta consistevano nel far mangiare bene tutti con poche risorse.

Chi poteva teneva un orto, la fine dell’estate la si passava a fare conserve e a sgusciare baccelli di legumi da seccare per l’inverno, la pasta si comprava in grossi sacchi dai pastifici locali o si impastava velocemente per arricchire le zuppe dei suddetti legumi. A gennaio si ammazzava il maiale per approfittare del freddo durante la lavorazione, che i frigoriferi una volta non c’erano e le salsicce si facevano asciugare appendendole accanto al camino. E soprattutto nelle località, come Teramo, all’ombra del Gran Sasso, in cui non si sa mai quando finirà esattamente l’inverno, che una nevicata a Pasqua è più regola che eccezione, si capisce che toccava stringere la cinghia e controllare le scorte in dispensa fino a quando l’orto non ricominciava a produrre e le pecore risalivano dalle Puglie con il loro contorno di formaggi.

Teramo, Castello della Monica. Foto di Farbizio Primoli

Teramo, Castello della Monica. Foto di Fabrizio Primoli

Quindi il primo maggio, o come anticamente si usava, tutto il mese di maggio, è la stagione adatta per prepararlo, basta leggere la lista degli ingredienti per capirlo. Per fare le virtù occorrono:

  • 7 tipi di legumi secchi e freschi, ceci, cicerchie, fagioli locali vari, lenticchie, piselli, fave sgusciate
  • 7 tipi di pasta secca e fresca
  • 7 tipi di verdure fresche di stagione, come sedano, carote, cavolfiore, zucchine se ce ne sono già, cicorie, bietole e spinaci a volontà, patate
  • carni varie e meno nobili di maiale fresche, come zampetti, orecchie, chi osa e ce l’ha il musetto, cotenna eccetera, compreso un osso del prosciutto se c’è. Del maiale conservato invece usiamo il culetto del prosciutto a dadini, o un po’ di lardo e pancetta per insaporire il soffritto
  • a parte si fanno le pallottine, delle mini-polpettine di carne di manzo macinata, aglio tritato, sale, pepe e un uovo per legare, fritte in olio di oliva e aggiunte alla minestra alla fine. Le pallottine sono piccolissime e vanno arrotondate tra pollice e indice, non più grandi di una monetina da 10 centesimi
  • 7 erbette fresche aromatiche ovvero prezzemolo, timo selvatico, maggiorana, salvia, finocchio selvatico e aneto
  • e visto che nella dispensa della famiglia abruzzese non manca mai il pecorino, lo si grattugia e si tiene pronto per condire a tavola la zuppa quando verrà servita.

I legumi secchi vanno messi a bagno almeno la sera prima e poi lessati. Aggiungere a tutti pochissimo sale alla fine della cottura, e se serve, un pizzico di bicarbonato per ammorbidirli.

Le carni fresche di maiale, pulite e a pezzetti le mettiamo in un pentolone grosso aggiungendoci carota, cipolla e sedano, un paio di grani di pepe nero per far partire il brodo. Dopo un’oretta togliamo la cipolla e ci aggiungiamo tutti i legumi lessati con la propria acqua di cottura lasciandoli insaporire a fuoco basso.

In un padellone scaldiamo dell’olio e ci facciamo soffriggere prima il lardo e il culetto di prosciutto tagliati a dadini, poi ci si aggiungono tutte le verdure fresche tagliate a pezzettoni, prima quelle più dure e verso la fine quelle a foglia.

In una padella a parte si friggeranno nell’olio le pallottine che insieme al soffritto si aggiungono ai legumi nel pentolone e quando sarà quasi ora di andare a tavola, ci si aggiungono le sette varietà di pasta, in ordine di lunghezza di cottura.
Si portano Le Virtù in tavola e si condiscono nel piatto con un filo di olio buono e i culetti di pecorino grattugiati.

Un’ultima constatazione su questo piatto, se vogliamo molto atipico, perché in Abruzzo la gente ama i gusti semplici e cerca di limitare il numero di ingredienti da usare in un’unica preparazione, per non perdersi il gusto dell’ingrediente principale. A Teramo si cucinano tradizionalmente piatti più elaborati che nel resto della provincia, e io credo che dipenda un po’ dalla sua posizione di città di confine, tra Regno di Napoli e Stato della Chiesa. Un confine che andava non solo sorvegliato, ma che veniva sicuramente molto attraversato e che quindi era aperto a influenze straniere.
In quest’ottica si spiega come mai Le Virtù restano una ricetta profondamente abruzzese e profondamente diversa, come quell’aneto, esotico come profumo nell’Italia appenninica.

Per non scoraggiare chi ha poco tempo, basta che non ci facciamo sentire dai compilatori del disciplinare, diciamo che si possono accorciare notevolmente i tempi ricorrendo a legumi cotti in barattolo. E in questo modo forse almeno quest’anno riusciremo a fare Le Virtù ed eliminare finalmente tutti quei sacchettini con dei resti di pasta sparsi per la dispensa.
L’importante è che i commensali si alzino felici da tavola.

 

Foto apertura: vignetta di Luigi Trojano tratta dal ricettario di Alessandro Molinari Pradelli "La cucina abruzzese in 900 ricette tradizionali" (Newton & Compton), 2000

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Barbara Summa

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