Per trattorie con Mario Soldati

“Una volta ricordo di aver risposto a un disperato ricercatore di cibi genuini, che la sua ricerca non era più così disperata; se lui soltanto si fosse dato la pena di lasciare l’asfalto e di inoltrarsi per qualche kilometro per le strade secondarie, di breccia o di terra battuta”.

Qualche anno fa, in occasione dei 100 anni dalla nascita di Mario Soldati, Deriveapprodi ha pubblicato un’antologia di scritti a sfondo eno-gastronomico dello scrittore piemontese, dal titolo DA LECCARSI I BAFFI. Si tratta di racconti tra vigne e trattorie, tra gli anni ‘50 e i ‘60, anni di boom economico in cui Soldati già intravede la perdita dell’innocenza – da un punto di vista consumistico – della nostra società.

baffi_soldati_2

Il suo girovagare per osterie e trattorie tra il Piemonte, la Liguria, ma anche la pianura padana e Roma, dove spesso si recava per lavoro, fino all’esperienza di un ristorante italiano a Chicago, lo porta a concentrarsi sul capitale umano che nascondono certi luoghi. L’osteria col tetto in lamiera, sulle alture dell’entroterra ligure, la trattoria con campo di bocce annesso, sotto un pergolato di glicine, dove dei perfetti sconosciuti intrecciano per qualche ora le proprie esistenze; lo sguardo di Soldati è volto agli avventori, ma soprattutto ai cuochi, ai vignaioli, agli artefici del ben mangiare e del buon bere, che tanto caratterizzano e differenziano le regioni italiane, che si parli delle anguille di Comacchio, della farinata genovese o del vino di Gragnano.

Racconto che si fa specchio di un’Italia in piena trasformazione, attraverso i suoi personaggi più o meno famosi: operai, artisti, industriali, ma anche minute descrizioni delle portate assaggiate. Riflessioni che arrivano anche a mettere in dubbio la correttezza nell’assegnare una DOC o un giudizio su un ristorante, nel constatare che anche la genuinità diventa oggetto di mercificazione economica.

Sembra quasi assurdo oggi, ma già all’epoca lo scrittore aveva intravisto una perdita di genuinità, di bontà, ricordando con nostalgia i piccoli e medi produttori “di una volta”, merce rara già sul finire degli anni ’60, veri e propri garanti di prodotti autentici; prodotti da preservare con una cucina attenta, come solo quella casalinga può essere. Ed allora l’osteria – quella ai bordi della città, da scovare solo lasciando le vie principali – diventa il simbolo di un’Italia agreste che va scomparendo assieme all’affermazione del neocapitalismo e del consumismo del secondo Novecento, che tutto appiattisce.

L'autore Vedi tutti gli articoli

Fabrizio Cioffi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati da *