Il salmorejo cordobès

Arriva il tempo dei pomodori, e non c’è niente di meglio di un gustoso salmorejo cordobès, cugino del più celebre gazpacho andaluso, per celebrarlo.

Il salmorejo dunque appartiene alla famiglia dei gazpachos, le zuppe fredde diffuse in tutto il territorio spagnolo e preparate in modi variabili, ma contiene un numero minore di ingredienti rispetto al suo più noto parente, perciò il pomodoro viene maggiormente esaltato, gustato quasi in purezza.
Zuppa povera, magnifica con il caldo, ha una consistenza più spessa e cremosa rispetto al gazpacho, che può essere addirittura bevuto, e viene arricchito con un trito di uova sode e jamon serrano.
Le sue origini e l’etimologia del suo nome sono certamente antiche ma anche dubbie; discenderebbe da preparazioni destinate all’alimentazione dei più umili, inizialmente prive di pomodoro, giacché il dono più importante del Nuovo Mondo all’Europa mediterranea non era ancora arrivato.
Ingredienti di base dei precursori iberici di gazpacho e salmorejo erano pane, olio, aceto, sale e aglio: lavorati al mortaio, componevano un miscuglio saziante ed economico, un piatto di sussistenza, potremmo dire, che nel 1611 Sebastián de Covarrubias y Orozco nel suo dizionario “Tesoro de la Lengua Castellana o Española” (1611) definiva comida de los segadores, y de gente grosera.
Si ritiene che queste ricette primitive siano di derivazione romana: in un poemetto di autore incerto, attribuito talvolta a Virgilio, si descrive il moretum, citato anche da Ovidio nei Fasti, densa zuppa o crema spalmabile a base di aglio, formaggio, ruta, sedano e coriandolo pestati nel mortaio (motarium) e allungati con aceto. Apicio elenca tre ricette di sala cattabia, delle quali una è preparata con pane inzuppato in acqua mista ad aceto e pepe, miele, aglio, menta, formaggio e coriandolo pestati e diluiti con olio. Sarebbero state perciò le legioni romane a diffondere la preparazione nel territorio iberico. L’arrivo del pomodoro dalle Americhe avrebbe, secoli dopo, rimescolato le carte.
Fino alla fine del XIX secolo il salmorejo si trova citato esclusivamente come salsa di accompagnamento alla cacciagione, preparata con aglio, olio, aceto, sale, pepe e acqua.
Non sappiamo quando si sia tramutato in zuppa e abbia incorporato il pomodoro.
Quanto al suo nome, deriverebbe (il condizionale è dovuto) da moretum, appunto, o motarium, il mortaio essenziale per la sua preparazione, o dallo spagnolo salmuera, dal latino salmùria, la salamoia, base di tutte le preparazioni destinate a salare, condire e conservare le carni o anche il pesce.
Oggi il salmorejo non è più cibo di sussistenza, ma una gustosa specialità dell’area di Cordoba e dell’Andalusia in generale.
Semplicissimo da preparare, va gustato freddo ma non ghiacciato e, pur assomigliando al più noto gazpacho, trovo che risulti più delicato, meno aggressivo.

Salmorejo cordobès

1 kg di pomodori rossi maturi
150 g di pane raffermo
2 spicchi d’aglio
100 g d’olio extravergine d’oliva
sale
pepe
per guarnire:
una fetta spessa di jamón serrano (io ho usato crudo di Parma)
uova sode
Tuffare i pomodori per pochissimi secondi in acqua bollente. Spellarli, privarli dei semi, passarli al mixer.
Ammorbidire il pane con acqua, strizzarlo perfettamente e aggiungerlo al pomodoro insieme ad aglio, olio e sale, frullando. La consistenza finale dev’essere un po’ rustica, non liscia e uniforme. Assaggiare e regolare di sale e pepe. Se i pomodori fossero poco saporiti, aggiungere un cucchiaino o due di aceto. Tenere in frigo per qualche ora.
Versare il salmorejo nelle scodelle, ricoprendone la superficie con le uova sode tritate e il prosciutto tagliato a striscioline.

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Giovanna Esposito

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