Si fa presto a dire uovo

Secondo dati del 2009, sono 215 le uova che un italiano consuma in un anno, tra quelle che acquista direttamente e quelle che sono contenute in prodotti trasformati dall’industria alimentare.

La “Nuova piramide della dieta mediterranea moderna“, elaborata alla fine del 2009, raccomanda un consumo settimanale di 2-4 uova: naturalmente in questo numero sono incluse anche le uova “nascoste” nei prodotti trasformati, come la pasta e i dolci. Ma per quelle che ognuno di noi acquista, come per qualsiasi altro prodotto, è il caso di dare un’occhiata alle diciture riportate sulle confezioni e sul guscio.

Prima di tutto, la categoria: tutte le uova commercializzate al dettaglio sono di categoria A, cioè con guscio integro e pulito e camera d’aria di altezza inferiore ai 6 millimetri. Non devono essere state sottoposte a refrigerazione né a lavaggio, poiché quest’ultima pratica altererebbe la pellicola protettiva dell’uovo rendendo così l’uovo permeabile agli odori e più soggetto a contaminazioni. Per la stessa ragione, è opportuno non lavare le uova prima di riporle in frigorifero.
Le uova di categoria B, di seconda scelta o sottoposte a trattamenti per la conservazione, sono destinate all’industria alimentare. La categoria C indica infine uova ugualmente destinate all’industria alimentare che sono state danneggiate (rotte, lesionate) e/o parzialmente covate.
Per quanto riguarda la data di scadenza, è bene sapere che è sempre preferibile consumare le uova entro dieci giorni dalla deposizione. La durata di conservazione delle uova prevista dalla legge è di ventotto giorni, ma è consentito venderle entro ventuno giorni dalla data di deposizione: ciò significa che, secondo la normativa comunitaria, il negoziante dovrebbe ritirare le uova dalla vendita una settimana prima della data di scadenza riportata sulla confezione. Il che, nella mia personale esperienza, avviene assai di rado.
Le uova che recano la dicitura “extra fresche” devono essere vendute entro nove giorni dalla data di deposizione e sette da quella di imballaggio e avere camera d’aria di altezza inferiore ai 4 millimetri; devono riportare obbligatoriamente la data di deposizione; trascorsi i nove giorni da questa, l’indicazione “extra fresche” dovrebbe essere cancellata dalla confezione.
Sulle confezioni delle uova è riportata anche la categoria di peso: le uova XL (grandissime) pesano 73 grammi o più; le uova L (grandi) pesano tra i 63 e i 72 grammi; le M (medie) tra i 53 e i 62 grammi e infine le S (piccole) pesano meno di 53 grammi.
Considerate che in un uovo medio da 61 grammi all’incirca 37 sono di albume, 16 di tuorlo e 8 di guscio.
Obbligatorio è il numero di codice del centro di imballaggio, che consente di identificare l’azienda che ha selezionato e confezionato le uova, e obbligatori sono il nome e la ragione sociale dell’azienda produttrice.
Una volta aperta la confezione, troveremo un codice alfanumerico stampato sul guscio del singolo uovo che ci fornisce molte indicazioni. Il primo numero del codice identifica il tipo di allevamento. Segue la sigla dello Stato di produzione, un numero che identifica il Comune di produzione, quindi la sigla della provincia di produzione; le cifre finali indicano il nome e il luogo dell’allevamento.

Immagine: www.orsacampania.it

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Una delle informazioni più importanti è quella relativa al tipo di allevamento. Come dicevo, la troviamo espressa dal primo numero del codice stampigliato sul guscio, ed è presente sulla confezione sotto forma di descrizione.
Questi i codici, e le relative descrizioni:
0 = allevamento biologico
1 = allevamento all’aperto
2 = allevamento a terra
3 = allevamento in gabbia.
La stragrande maggioranza delle uova che acquistiamo proviene da allevamenti in gabbia. Col D.L. 267 del 29.07.2003, l’Italia ha recepito la direttiva n° 74 del 1999 dell’Unione Europea, vietando l’allevamento delle galline ovaiole nelle gabbie convenzionali a partire dal 2012 e vietando l’apertura di nuovi impianti con quelle caratteristiche a partire dal 2003. Anche se non si è sensibili ai temi animalisti, bisognerebbe essere sensibili allo stato di salute degli animali dei cui prodotti ci nutriamo, che incide sulla salubrità e le proprietà nutrizionali dei prodotti stessi: le galline allevate nelle gabbie convenzionali (i cosiddetti allevamenti in batteria) presentano gravi problemi comportamentali e fisici dovuti all’impossibilità di effettuare movimenti naturali e di aprire le ali, alle condizioni di luce, alla struttura del piano di rete metallica sul quale vengono costrette; vanno incontro ad osteoporosi e fratture per il depauperamento di calcio conseguente alla produzione intensiva di uova e sviluppano patologie del comportamento che portano ad un’aggressività verso le loro simili che arriva fino al cannibalismo, tanto che alle galline di batteria viene amputato il becco per impedire questi fenomeni. La direttiva europea è finalizzata ad accrescere il benessere delle galline ovaiole attraverso una serie di modifiche alle gabbie: ampliamento dello spazio destinato ad ogni animale, struttura del pavimento più idonea a favorire un assetto comodo, dispositivi per favorire la consunzione naturale delle unghie, possibilità di realizzare le cosiddette gabbie “arricchite”, dotate di strutture aggiuntive rispetto a quelle convenzionali.
E’ un progresso importante, ma ancora insufficiente. Meglio allora sapere che nell’allevamento biologico (codice 0) le galline razzolano liberamente dentro e fuori da capannoni in terreni coltivati con metodo biologico e vengono nutrite con alimenti biologici. Dispongono di nidi, trespoli, lettiere e di uno spazio minimo di 2,5 metri per animale.
Nell’allevamento “all’aperto” (codice 1) le caratteristiche di spazio e strutture sono le medesime, ma il mangime è convenzionale.
Infine, nell’allevamento ” a terra” (codice 2) le galline non vengono tenute in gabbia ma allevate comunque al chiuso, in capannoni, e le strutture prevedono nidi, trespoli e lettiere.
E’ evidente che i sistemi di allevamento alternativi alla gabbia sarebbero da preferire (come già avviene in paesi europei come l’Austria) considerando anche che, secondo alcuni studi, il metodo di allevamento biologico e quello all’aperto hanno un’influenza significativa sulle caratteristiche organolettiche delle uova.

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Giovanna Esposito

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