La trippa romana

Da vera romana m’è sempre piaciuta la trippa.
Mio padre aveva i suoi spacciatori, soprattutto fuori Roma, ai Castelli, e la trippa per lui doveva essere rigorosamente sporca. Cioè aver avuto un solo veloce passaggio di bollitura. Questo perché diceva che i macellai bollono la trippa con la calce per sbiancarla velocemente, e a lui questa pratica barbara non piaceva.Non c’è una trippa, ce ne son ben 4, tutte con consistenza e aspetto diversi. Le sue favorite erano quella detta centopelli, perché ha tutte striscioline sottili penzolanti, e quella che sembra una testa di corallo (o un cervello se vogliamo). Ma non disdegnava neppure quella che ha l’aspetto della pelle di camoscio un po’ ruvida, il rumine, cioè lo stomaco principale. L’altra, l’abomaso, a Roma è difficile trovarla: va tutta a Firenze, dove ci fanno il lampredotto.

Trippa 1 - Diversi tipi

Da sinistra a destra: centopelli (omaso), cuffia (reticolo), larga (rumine) e abomaso (lampredotto)

Mia madre, ovviamente, non era molto felice tutte le volte che lui le si presentava in cucina con una busta piena di trippa da pulire. Acqua bollente, un coltello per raschiarla e taaaanto olio di gomito era l’unico sistema per sbiancarla.
Poi si passava alla bollitura, dolcemente nel pentolone con gli odori, ogni tanto una schiumata.
Quando si infilzava senza problemi, allora la scolava, la faceva freddare ed era rigorosamente il compito di mio padre affettarla sottilmente. Si piazzava seduto al tavolo di formica della cucina con il grande tagliere di legno davanti, il coltello affilato e i due piatti: uno con la trippa da tagliare, uno dove mettere le striscioline già tagliate. A volte la trippa era ancora calda e si bruciava le dita. Ogni tanto gli rubavo una strisciolina.

Compiuta l’operazione, mia madre metteva sul fuoco una pentola con il sugo (con il solito soffritto di cipolla, sedano e carota, ma a volte semplicemente con l’aglio) e quando il sugo cominciava a bollire, ci metteva dentro la trippa ad insaporirsi con un po’ di sale e peperoncino fresco della pianta sul balcone. L’arte era nel non far cuocere troppo la trippa, in modo che mantenesse bene la sua consistenza ma che nel frattempo riuscisse ad acquisire gli aromi del sugo. A volte ci aggiungeva anche dei fagioli borlotti, soprattutto d’inverno.

Trippa 2 - Mentuccia

L’aroma principale nella trippa è un’erba che a casa nostra veniva chiamata mentuccia per la trippa (Mentha Pulegium), diversa dalla mentuccia per i carciofi (Clinopodio oppure Calamintha Nepeta). Entrambe erano oggetto di spedizioni per prati e campi abbandonati, in quanto erbe spontanee. E la trippa non è trippa se non c’è una bella manciata di mentuccia dentro.

La trippa veniva rigorosamente servita in un piatto fondo, con tanto pecorino grattugiato sopra e una quantità inverosimile di pane di Genzano o altro pane cotto a legna da inzuppare nel sugo.

Trippa 3 - romana

Se nell’Anno Domini 2017 è mission impossible o quasi trovare in Italia la trippa sporca, figuriamoci qui all’estero. Dovrei infiltrarmi in qualche rete di fornitori di ristoranti cinesi o turchi, perché loro la cucinano e la si trova nei loro menù. In un famoso ristorante cinese del centro se ne può ordinare un piattino piccino, una forchettata di trippa bollita, come parte dei dim sum, i piccoli bocconi di specialità del pranzo cinese. Ma tutte le volte che lo faccio, la gentilissima cameriera mi guarda bene negli occhi chiedendomi se mi rendo conto di cosa sto ordinando.

Trippa 4 - cinese

E i ristoranti turchi – dovrei dire le rosticcerie o grill rooms turche, dove oltre che a sederti, puoi comprarti le cose calde da mangiare a casa – hanno spesso la zuppa di trippa (İşkembe çorbası). Ma forse anche i turchi olandesi (e di sicuro gli olandesi) hanno al giorno d’oggi dei problemi con la trippa. L’ho assaggiata una sola volta, qui ad Amsterdam, ed era diversa per consistenza da quella mangiata eoni fa ad Antalya: in quella era chiaro quale fosse l’ingrediente principale, in questa la trippa purtroppo era troppo cotta e s’era praticamente sciolta nella zuppa. Sì, perché il punto principale è la consistenza della trippa: le pellicine devono essere morbide e quasi disfarsi nel momento in cui entrano in contatto con la lingua, ma lo strato muscoloso deve avere ancora una sua consistenza che rasenta la callosità. Insomma, deve essere masticabile.

Per chi vuol provare il sapore ma non ha il coraggio di mangiare la trippa vera, c’è una preparazione in cui la trippa viene sostituita da striscioline di semplici frittatine all’uovo e parmigiano (o pangrattato per una consistenza più ruvida): le uova in trippa. La parte fondamentale è il sugo che condisce il tutto. Un bel sugo con una spruzzatina di peperoncino e poco prima di servire abbondante mentuccia per dare il profumo inconfondibile della trippa alla romana.

Trippa 5 - uova

Uova in trippa

6 uova
3 cucchiai di Parmigiano Reggiano grattugiato
(evt. 3 cucchiaiate di briciole di pane un po’ grossine e 1/2 bicchiere di latte per la consistenza)
2 barattoli di pelati da 400 gr
3 spicchietti d’aglio
peperoncino a piacere
mentuccia della trippa
Pecorino Romano a piacere
olio di oliva extravergine
sale e pepe

Preparare le frittatine belle sottili con le uova e il Parmigiano, una presa di sale e una girata di pepe. Farle raffreddare e tagliarle a striscioline larghe un dito. Preparare nel frattempo il sugo: soffriggere piano piano l’aglio nell’olio, aggiungere i pelati, poco sale e peperoncino a piacere. Aggiungere le striscioline di frittata e una bella presa di mentuccia, far riscaldare il tutto e servire con una spolverata di Pecorino.

PS: se volete comunque assaggiare The real thing, ma non avete la pazienza di mia madre ma solo la golosità di mio padre, a Roma potete andare da:
Armando al Pantheon
Da Settimio – Via di Val Tellina, 81 (Monteverde Nuovo) – Tel. 06/58230701
Agustarello a Testaccio
Da Cesare al Casaletto
Felice a Testaccio (di sabato, perché a Roma il sabato è sinonimo di trippa)
Da Enzo al 29

 

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Marina Vizzinisi

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