Le cose perdute, la fanouropita e il santo che non c’è

Avete smarrito le chiavi? Il telefono, gli occhiali? O forse perduto la testa, un amore, i vostri principi morali?
Qualunque cosa abbiate perso, materiale o immateriale, preparate una fanouropita.
Potreste chiedere soccorso a più di un santo: ci sarebbe Sant’Onofrio anacoreta, detto ‘u pilusu, invocato dai siciliani. O San Graziano, vescovo di Tours. Ma anche Sant’Antonio da Padova, preferito dai portoghesi, per il quale viene recitato il responsorio “Si quaeris miracula”, noto, nella tradizione popolare, come sequeri, in cui ricorrono versi latini che in traduzione suonano più o meno così: “Giovani e anziani chiedono e ritrovano le membra e le cose perdute”.
Ma nessuno di questi sant’uomini richiede che, al bisogno, per impetrare aiuto si prepari una torta: questa è un’esclusività di San Fanurio, venerato a Creta, a Rodi e a Cipro, il santo per eccellenza, in quelle terre, delle cose perdute e ritrovate.
Martire della chiesa greco-ortodossa, Fanurio ha una curiosa storia venata di mistero. A dire il vero, il mistero concerne addirittura la sua stessa esistenza storica, ben più che controversa.
Si è nel XIV secolo, secondo alcuni, o nel XVI, secondo altri, quando, cercando di recuperare del materiale da costruzione dalle macerie di alcuni edifici, dei (vaghi) pagani o dei turchi musulmani ritrovano a Rodi i resti di una chiesetta. E, tra mattoni e calcinacci, alcune icone. Una sola, tra esse, non è in pessimo stato di conservazione ma, anzi, intatta e vivida nei colori: raffigura un giovane uomo con aureola e abiti da soldato che nella mano destra regge una croce che sostiene una candela accesa.  Accanto alla sua immagine, la scritta Fanourios, e intorno alla raffigurazione centrale dodici scene di martirio che illustrano come il Santo abbia subito ogni genere di tortura perché abiurasse alla propria fede, fino al supplizio finale. Alcuni monaci assistono, nascosti, al ritrovamento e poi portano in salvo l’icona. Le sue perfette condizioni, ritenute già in se stesse miracolose, il martirio e l’aureola fanno subito del presunto Fanurio oggetto di devozione.
Fino a quel momento, di lui non si aveva alcuna notizia né memoria.

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Lo si trova citato per la prima volta solo nel 1542, nel Synaxarion contenuto nel Codice Vaticano greco 1190. Tra i miracoli a lui attribuiti, alcuni consistono proprio nel ritrovamento di animali e oggetti smarriti o della buona salute.
E il suo nome viene messo in relazione con il greco φανερώνω (phanerono – rivelare, svelare), rafforzando la convinzione che il santo – anch’egli, in un certo senso, prodigiosamente “rivelato” o ritrovato – abbia la prerogativa di far riapparire le cose perdute. Gli studiosi, però, che hanno poco riguardo per la devozione popolare, mettono in dubbio l’esistenza di Fanurio: molti identificano il santo dell’icona di Rodi con il più noto e venerato San Giorgio, sempre ritratto come un guerriero, e ritengono che l’iscrizione Fanourios non sia che una cattiva trascrizione di Fanerotis (“colui che rivela”), cioè di un appellativo di San Giorgio, appunto.
Dispiace: potrebbe non esserci un Fanurio a cui votarsi; ma poiché contro il culto dei tanti poco possono gli studiosi, a Creta e a Rodi si continua ad invocarlo quando si vuol recuperare ciò che si è perso per distrazione, sventura o colpa, e per ingraziarselo si prepara un dolce semplice, molto rustico e austero, che piacerà ai più rigoristi in fatto di alimentazione perché privo di burro e uova: la fanouropita.
Il 27 agosto, giorno dedicato a San Fanurio nel calendario greco-ortodosso, ciascuno prepara la fanouropita e la porta in chiesa, dove viene benedetta e divisa tra i fedeli. Le regole prescrivono che, anche se la si prepara in altre occasioni per ottenere il soccorso del santo, bisogna usare sette, nove o undici ingredienti, distribuire la torta a ogni persona che si incontra e infine pregare per l’anima della madre di Fanurio, donna che la leggenda vuole pagana e dissoluta; ma questa è un’altra storia, vale a dire l’adattamento greco di un racconto popolare  (il tipo 804, secondo la classificazione stilata dagli studiosi di folklore Aarne e Thompson) che si ritrova in forma simile con diversi protagonisti in diverse culture.
Se volete preparare la fanouropita, per appellarvi al santo o per semplice diletto, tenete ben presente che non si tratta di una delizia di pasticceria ma di un dolce semplice e povero che però ha un buonissimo profumo, è ricco d’olio d’oliva e si presta bene ad accompagnare una tazza di tè.

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Fanouropita

440 g di farina
60 g di noci finemente tritate
200 g di zucchero
10 g di lievito istantaneo
185 ml d’olio extravergine d’oliva
160 ml di succo d’arancia
buccia grattugiata di due arance
25 ml di brandy
2 cucchiaiani di cannella
2 cucchiaini di estratto di vaniglia
zucchero a velo

Alcune versioni prevedono chiodi di garofano, semi di sesamo da spargere sulla superficie del dolce, mandorle al posto delle noci o anche l’aggiunta di uvetta. Molte varianti sono ammesse. 

Sbattere l’olio con il brandy, il succo d’arancia e l’estratto di vaniglia, in modo da emulsionarli; aggiungere lo zucchero e sbattere ancora per farlo sciogliere. Unire la cannella e la scorza d’arancia, poi la farina mescolata con il lievito, sempre sbattendo, e infine le noci.
Versare il composto in una teglia unta d’olio e leggermente infarinata e cuocere in forno preriscaldato a 180° per circa 40 minuti. Farà fede la prova stecchino.
Far raffreddare e infine spolverizzare con zucchero a velo.

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Giovanna Esposito

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